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martedì 2 gennaio 2018

Il romanzo di Aldo Moro

“Roma, 9 maggio ‘78. Al Viminale”, recita la sinossi del libro, “il ministro degli Interni Cossiga attende la notizia della liberazione di Aldo Moro. Quando squilla il telefono, gli si annuncia invece il ritrovamento del cadavere del presidente democristiano, in una Renault rossa lasciata in via Caetani. Il dolore si mescola a profonda delusione: qualcuno ha tradito i patti, capovolgendo l'esito di una segretissima trattativa dove a condurre il gioco era stato chiamato un abilissimo mediatore”, Igor Markevic, “il Maestro di origine russa che ha diretto le maggiori orchestre del mondo”.
Si riedita perfino ampliata una storia che sembra inventata – e lo è. Attorno a un personaggio che in qualche modo la merita, la scelta non è sbagliata. Ma fare del maestro Markevic il Grande Vecchio delle Brigate Rosse o il Capo dei Capi è troppo – nel caso specifico dell’assassinio di Moro anzi disturbante, nessun elemento collegando il musicista ai terroristi.
La sinossi di cui sopra non è di quest’ultima fatica di Fasanella e Rocca, ma della precedente sullo stesso personaggio, nel 2003, con Einaudi, intitolata “Il misterioso intermediario. Igor Markevic e il caso Moro”. Questo volume, il doppio del precedente, è “una risposta alle critiche” del primo. Ma di fatto un’escursione libera sui legami “tra mondo dell’arte, intelligence e esoterismo” – fertile, questo, nella famiglia Caetani: un campo sterminato, :l’evocazione del mondo brillante delle arti e della cafè society europea del dopoguerra. Se non che la storia è sempre quella del misterioso capo delle Brigate Rosse.  Con uno strano effetto di vasta disinformazione, come tante altre storie concresciute attorno al delitto Moro. Qui senza molti appigli.
Giovanni Pellegrino, “il senatore-detective che per sette anni ha presieduto la Commissione parlamentare sulle stragi e sul terrorismo”, si è fatta l’idea che l’uccisione di Moro, mentre se ne attendeva la liberazione, è dovuta in qualche modo al maestro Markevic. Unico indizio a carico del musicista: l’aver sposato in seconde nozze la duchessa Topazia Caetani, e quindi essere in qualche modo coinquilino della R 4 nella quale fu stipato il corpo di Moro. Anche se i Caetani non abitano palazzo Caetani da qualche secolo.  
E chi è Pellegrino? Un onesto senatore. Tanto onesto che per sette anni nella sua Commissione si è potuto raccontare di tutto e di più sul rapimento e l’assassinio di Moro, non bastando la verità, o forse per mascherarla. E Cossiga, che trattava con misteriosi intermediari, è notissimo presidente affabulatore di tante fiabe cospirative. Parti entrambi in tragedia, ma nel post-tragedia, In una cultura che privilegia il “testimone” invece dei fatti. Magari solo per divertimento  non per cattive intenzioni: la verità del testimone si presta di più e con meno fatica – è racconto pronto, basta un minuto al microonde, e anche, perché no, più accattivante. Markevic si presta meglio di altri perché ha lavorato con Cocteau, ha incontrato Nabokov, Berenson,, Chaplin e tanti altri, e allora molto Nabokov, Berenson, Chaplin e altri, e poi era amico di Roman Vlad – di cui però è difficile presumere male, il figlio Alessio vigila.
Di Markevic si poté fare il Capo dei Capi del terrorismo rosso perché l’uomo era in età, e isolato. E non sprezzava la notorietà, purchessia. Anzi. Era un personaggio da passerella, già in gioventù.  Savinio, “Scatola sonora”, lo ricorda così nell’aprile del 1941, “Igor Markevic, nato a Kiev nel 1912”, all’esecuzione all’Adriano, in piazza Cavour a Roma, allora sala da concerti, della prima italiana di una sua sinfonia concertante per soprano e orchestra, “Lorenzo il Magnifico”, da lui stesso diretta: “Nelle fotografie di solisti e direttori che opportunamente illustrano i programmi…. riconoscemmo i lunghi occhi da capra del giovane compositore russo, la sua bocca carnosa, le sue orecchie faunesche, la sua faccia sfilata; e a questa vista la nostra mente tornò indietro di una dozzina d’anni”. A quando Markevic, a Parigi, era nella scuderia dell’impresario Djaghilev, geniale talent scout, promotore, produttore di teatro, danza e musica – “un mondano delle arti e dell’intelligenza, dotato del necessario fiuto per scoprire gli uomini le cose e i capitali”. Ricorda Savinio nel 1941: “Igor Markevic era in quel tempo il prodigio giovinetto  che Sergej Djaghilev portava entusiasticamente in giro”, per i centri della mondanità, Parigi, Londra, Montecarlo. “Giovinetto di belle speranze”, che, “scortato a destra da sua madre e a sinistra dall’autorevole protettore, diabetico e opalescente, passava, sereno e polito, tra ali di curiosità e sussurri di simpatia”. Djaghilev era stato “particolarmente fortunato nella scoperta di alcuni ballerini”, tra essi Nižinskij, di cui la giovane promessa sposerà in prime nozze la figlia. Poi Djaghilev era morto, e il Markevic compositore era finito. Avrà un’ottima carriera come maestro d’orchestra, e si farà italiano sposando in secondo nozze, un matrimonio da cui ebbe quattro figli. E questa è la vera storia.  
Fasanella, già cronista dell’“Unità” a Torino negli anni di piombo, è uomo di cinema, sceneggiatore, soggettista. Come Rocca. Si divertono nel genere “romanzo-verità”.
Giovanni Fasanella-Giuseppe Rocca, La storia di Igor Markevic. Un direttore d'orchestra nel caso Moro, Chiarelettere, pp. 464 € 16,90

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