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domenica 10 dicembre 2017

Mia figlia, suo padre

“A New York  io, mia figlia e suo padre siamo stati stalkerati da un paparazzo che ci ha fotografato e seguito per 6 ore”: Scarlett Johansson spopola sui social con questa storia. Il ridicolo della tragedia. Stalkerati da un paparazzo è già troppo. Ma quel “suo padre” introdotto nella famigliola perseguitata nella gita a New York è sublime, nel senso della stupidità.
Senza colpa dell’attrice. Scarlett Johansson è simpatica performer. Ma è nel cinema da quando aveva sette anni – o tre, pare. Ed è cresciuta come sexy simbol. Cioè: da che pulpito?
Ma non è di lei che si parla, è di “suo padre”, il padre della sua propria figlia. Che forse l’ha fatta come Giove e poi Scarlett l’ha adottata? No, l’hanno fatta insieme, con una tecnica non casuale e anzi piuttosto complicata.
Il galateo politicamente corretto, cioè di genere, è perfidamente cattivo. Distruttivo: una sorta di auto presa in giro. Autocastrante, in cambio di una presunta libertà. Presunta perché, nel mentre che si è vincolati a un rapporto umano, seppure scelto liberamente, si pretende di non esserlo. Presunta anche perché egoista, cieca. Come dimezzarsi gli affetti, la possibilità di averne.

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