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mercoledì 20 marzo 2019

Heidegger zen

“Il circolo si fa vizioso e il rebus si complica”. A un certo punto Leonardo Vittorio Arena, lo studioso zen dello Zen che cura la pubblicazione, s’impazientisce, pure lui. Al termine di una lunga disamina di un breve colloquio fra l’accademico germanista di Tokyo Tezuka e Heidegger, a fine marzo 1954, a Friburgo. Per vedere se si poteva estendere a Heidegger anche Budda, con le derivate zen – zen  nipponiche. E magari arrivare a una sintesi heideggeriana di Oriente e Occidente.
Heidegger ci prende gusto - essere il dio anche dell’Oriente, perché no. E tempesta l’intervistatore di domande, facendone poi tesoro nel saggio “Da un colloquio nell’ascolto del linguaggio”, in “In cammino verso il linguaggio”. Saggio che Arena propiende sia una autoconfessione più che un dialogo, un rimirarsi allo specchio, un selfie.
Questa edizioncina colma il vuoto aperto dal dialogo heideggeriano col Giapponese riportando la versione che del “dialogo” aveva trascritto Tezuka. Ma sappiamo già che Heidegger ci aveva rinunciato, dalla famosa intervista “postuma” a “Der Spiegel”, “Ormai solo un dio ci potrà salvare”: “Per cambiare modo di pensare è necessario l’aiuto della tradizione europea e di una sua riappropriazione. Il pensiero viene modificato solo da quel pensiero che ha la stessa provenienza e la stessa destinazione”. In particolare, “esso non può aver luogo tramite l’assunzione del buddismo zen o di altre esperienze orientali del mondo” – “supposto che la casa dell’essere sia la stessa per il Giappone e per l’Europa…”, conclude Arena sardonico.
Il punto è, benché Arena lo complichi in rompicapo, se sensibilità e logica si apparentino. Cui si arriva da “Rashomon”, il film - la sola conoscenza che Heidegger manifesta del Giappone. Che è tratto, spiega Tezuka, da un racconto di Akutagawa. Il quale lo scrisse sotto l’influsso di Browning, del poema narrative “L’anello e il libro”: il fatto (un omicidio) spiegato da testimonianze contrastanti.
Singolare che un’ora con Heidegger abbia prodotto tanta filosofia, e tanti guasti. Tezuka era un germanista e quindi il colloquio non ha avuto bisogno di interpreti, ma un’ora? Per dirimere Oriente da Occidnete. “Alcuni filosofi giapponesi dicono che Heidegger si è spinto avanti”, attesta Arena, “rispeto ai suoi colleghi occidentali, nella comprensione dello Zen, ma non è penetrato a fondo nello stesso tessuto dello Zen”. Per aver visto “Rashomon”? Tra l’altro perdendosi l’inquadratura principale, quella di cui Tezuk e Arena fanno lunga trattazione. Di “una mano posata, nella quale si fa presente … la realtà di uno sfiorare che rimane infinitamente lontano  da ogni toccare” (Tezuka), Con commento di Arena: “La mano dell’attore, in «Rashomon», non è neanche in primo piano, e ciò le conferisce un valore Zen superiore, suggerendo analoghe concentrazioni nonsensical”.
Nonsense , insomma. Beh, può essere divertente.
Tomio Tezuka, Un’ora con Heidegger, Mimesis, pp. 70 € 5,90  

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