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domenica 29 settembre 2019

La letteratura è finita – la borghesia no

“Una introduzione a ciò che potrebbe essere una Storia della Scrittura”, la diceva lo stesso Barthes alla riedizione nel 1972. Testi sempre nuovi alla lettura ma ormai classici, remoti. Che cos’è la scrittura, e quando si afferma – con Flaubert. La scrittura poetica. La scrittura del romanzo. La scrittura politica. Assortiti dalla lettura di La Rochefoucauld, Chateaubriand (“La vita di Rancé”), le tavole dell’“Encyclopédie”, Loti, Fromentin, Flaubert, e Proust, “I nomi di Proust”. L’impianto originario si era intanto incrementato di considerazioni sullo “stile”, alle quali non si riesce a trovare una faglia. Nonché sulla scrittura e il silenzio. Con temi d’obbligo all’epoca: scrittura e rivoluzione, scrittura borghese – compitini svogliati, ora si vede.
Ma compiti allora centrali, e il lettore è preso da un dubbio: bisognerà buttare tutto, è acqua sporca? “Trionfo e rottura della scrittura borghese”, nonché piccolo-borghese, riletta, lascia traumatizzati. Benché temperata dalle brevi note stroncatorie successive, su “Scrittura e rivoluzione”. Vi si legge che “la scrittura Borghese ha dominato senza faglie fino al 1848” – “da Laclos a Stendhal”. Flaubert, che pure Barthes acclama all’inzio – Balzac è totalmente assente? Sembra strano che Barthes non si sia sottratto alla fine della borghesia, esercizio d’obbligo in un certo ambiente, per quanto dominante. Ma non lo ha fatto, non si è sottratto. 
Per il resto è Barthes. Di annotazioni brevi, anche concettose, ma sempre godibili. Una celebrazione. Che però si rilegge come un epicedio. Un saggio del 1953, incrementato nel 1972, che è una reliquia, come di tempi lontanissimi. Sarà durato un secolo breve, da Flaubert, a metà Ottocento, a questo primo Barthes il culto – e la differenza – della scrittura. Quella che distingue i libri che rileggiamo volentieri, eterne riscoperte, dagli altri, che compriamo compulsivamente - uno spreco in tutti i sensi, di tempo, di soldi e di spazio, che però non dissuade, una addiction.
Lo stesso R.Barthes, nell’introduzone del 1972, dà il ciclo per concluso, nel contesto francese, già con fine Ottocento, con Mallarmé. Distinguendo tre epoche della letteratura: debole con Chateaubriand, affermativa (costruttiva) con Flaubert, assassina con Mallarmé. Dopo c’è già lo scrittore senza letteratura: “la scrittura bianca” di Camus e Blanchot, o “la scrittura parlata” di Queneau – “ultimo episodio di una Passione della scrittura, che segue passo a passo la lacerazione della coscienza borghese”.
Oggi la borghesia c’è, eccome – non c’è altro. Ma non c’è la letteratura.

Roland Barthes, Il grado zero della scrittura, Einaudi, pp. 187 € 18

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