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venerdì 27 marzo 2020

Quando Sartre si voleva il nulla

Sartre esordisce, tardi, come narratore. Questo primo romanzo filosofico, del 1932, rifà un paio di volte sulla scia Céline, che ammira e vuole imitare, e lo pubblica infine nel 1938. Mentre diventava professore. Come Céline creandosi un alter ego narrativo, Roquentin. Più stanco, benché giovane, che disperato, o combattivo – seppure non rinunciando a diventare professore alla Sorbona, invece che filosofo di strada, o qualcosa di analogo al medico dei poveri quale ha scelto di essere Céline.
La prima opera di Sartre è questo romanzo. Per modo di dire: una serie di riflessione su una traccia esile. A metà tra Cartesio e Luigi XIV, malgrado gli studi in Germania, sulla fenomenologia di Husserl, e del suo discepolo Heidegger. Tra verosimile e inverosimile. Tra corpo e anima: “Il corpo vive da solo, una volta che ha cominciato. Ma il pensiero sono io che lo continuo, che lo svolgo… Il pensiero sono io”. Tra fare e non fare: “Non ho nemmeno ragioni per non farlo”. E da ultimo: “Mai un esistente può giustificare l’esistenza di un altro esistente. Bisognerebbe arrivare all’essenza, ma…” – che sembra Heidegger ma non lo è.
Al fondo c’è un (primo) rifiuto della cultura di massa. Che negli anni 1930 non era identificata ma si poneva. Almeno per il personaggio del racconto. Roquentin, seduto all’ombra di un castagno, nel villaggio di Bouville, il tema se lo pone già con durezza: che ci faccio io qui, si dice, sentendosi “soffocare di rabbia”, per le “masse mostruose” da cui si sente assediato, di “spesso  essere assurdo”. Le sue proprie “avventure”, donne, traffici, eccetera, non hanno senso per lui, e nemmeno per il lettore - la “nausea” è di tutto ciò che incontra, l’esistente: “Che porcheria! Che porcheria!” si va dicendo mentre si aggira per la città di fango (Bouville).
“O si vive o si racconta”, dice Sartre-Roquentin. Ma a volte non va né l’uno né l’altro. Sartre vorrebbe raccontare il nulla. “Quando si vive, non succede nula. Cambia la scena, la gente entra ed esce, ed è tutto. Non c’è mai un inizio… E poi tutto si somiglia: Shangai, Mosca, Algeri”. In più accordi, su più strumenti, one man’s band: “Sono io, sono io che mi estraggo dal niente al quale aspiro: l’odio, il disgusto di esistere  sono altrettanti modi di farmi esistere, d’ìnfognarmi nell’esistenza”. E alla fine: “Se fossi sicuro di avere talento”.
Wikipedia celebra “La nausea” come “il più celebre romanzo esistenzialista”. Bisogna pensare male dell’esistenzialismo?
Jean-Paul Sartre, La nausea, Einaudi, pp. 242 € 12

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