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mercoledì 3 giugno 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (427)

Giuseppe Leuzzi
Federico Zeri mostra in “Dietro l’immagine” una piccola tavola di Antonello da Messina, dipinta nelle due facciate, che su quella frontale ha un Cristo in “aspetto che oggi si definirebbe mafioso”.  Un Cristo dolente, alla flagellazione, certo non bello. Nell’ovale, il nasone, gli occhi. Però fa effetto che un dipinto del Quattrocento, di Antonello, un Cristo nascosto in una collezione privata americana, diventino notevoli grazie all’aggettivo mafioso. 
 
Il professor Zarrillo, direttore del San Raffaele di Milano, lo stesso ospedale che propagò il contagio tre mesi fa, lo dichiara ora finito – “il virus è sfinito”. Così si fa. Nessuno ride.
Oppure: il virus sara sfinito al San Raffaele, troppo lavoro.
 
L’eroe è un bruto
L’eroe classico (greco) è un bruto, prima di Teseo. Si potrebbe argomentare in questo retaggio la proliferazione “naturale” (spontanea) delle mafie. “Pare che in quell’età”, scrive Plutarco (dove?), “vivessero uomini che, per destrezza di mano, velocità di gambe e forza di muscoli, superavano la natura consueta ed erano instancabili. Mai usavano le loro doti fisiche per fare del bene e giovare agli altri, bensì si compiacevano nella brutale arroganza e godevano a sfruttare la propria forza per azioni selvagge e feroci, soggiogando, maltrattando e sterminando chi cadeva  nelle loro mani. Il rispetto, la giustizia, l’equità, la magnanimità per loro erano virtù apprezzate soltanto da chi mancava del coraggio di fare il male e aveva paura di subirne, ma non riguardavano chi aveva la forza per imporsi”.
Non è così. Le mafie sono un problema dei Carabinieri. E non si conoscono mafiosi atletici, sono flaccidi in genere, e abili solo con le armi, a tradimento. Del resto, Teseo, fondatore di Atene, deve esserne espulso: ha fatto un numero eccessivo di morti, ha abusato degli dei, morirà assassinato in una faida – nessuno è santo in vita. Però, volendo nobilitare le mafie, è suggestivo.
Con Teseo peraltro le cose cambiano, avendo lui inventato “l’arte della lotta”, sena più trucchi e sotterfugi: “Prima di Teseo era solo una questione di statura e di forza bruta”. Prima della legge – del canone, del codice.
 
Il virus va al Sud
“Vorrei vedere, se invece della Lombardia, al centro del’epidemia ci fosse stata una regione del Sud”. Non proprio in questi termini, ma contrariato dalle pressioni della Lombardia per aprire gli spostamenti senza più alcun controllo, il presidente della Toscana Enrico Rossi lo ha però detto: “Vedere Fontana e anche Sala così spinti verso le riaperture, dopo il disastro che proprio in Lombardia ha avuto il suo epicentro, mi lascia sbalordito e contrariato. Chissà se al posto della Lombardia ci fossero state altre regioni, magari del Sud…”. Fontana, Lega, e Sala, Pd come Rossi, uniti nella lotta.
Non è sorprendente ma è incredibile che non ci sia autocritica a Milano. Anche una limitata, di una sola persona. Un articolo di giornale - se ne scrivono tanti ogni giorno.
A Bergamo intanto la Procura della Repubblica solerte lavora a incriminare Roma. Il governo. Le autorità sanitarie. È colpa loro se gli ospedali sono stati gestititi male e malissimo in Lombardia, negli ospedali e dai medici di base, disinformati. E se Bergamo non è stata dichiarata “zona rossa”.
Non sembra. La Procura chiama a testimoniare il presidente della Regione Lombardia e il suo assessore alla Sanità. Personaggi non si sa se più ridicoli o incapaci. Ma la giudice milanesissima Maria Cristina Rota, che ha attivato la procedura, non lo nasconde: si aspetta che la colpa sia di Roma. Solo, annora non sa come.
Milano non ha finito di appestare e già butta la merda ai piani bassi, come usa. Il leghismo non è un episodio.
 
Calabria
Ha allevato e valorizzato personalità notevoli: Cassiodoro, Cicco Simonetta, Campanella, Telesio. Che però non hanno proliferato. La Calabria non fa sistema. Per una aloofness che ritiene da puzza al naso (snobismo) ma è più probabile tribale (anarchismo).
 
Un Joanni (Joanne) Maurello è autore di un lungo “Lamento per la morte di don Enrico d’Aragona” un epicedio in dialetto calabrese, cosentino: 296 versi, divisi in quattro parti (“capituli”), stampati a Cosenza nel 1478. Ma non se ne sa nulla, né della vita né dell’opera, e nessuno se ne occupa.
Di don Enrico d’Aragona, un non personaggio, invece si sa tutto: figlio bastardo del re di Napoli Ferrante, morì giovane – l’occasione dell’icedio – nel castello di Terranova di Sibari, per avere mangiato funghi velenosi.
 
I Bronzi di Riace a Reggio Calabria si celebrano per la bellezza. Mentre sono esemplari unici: “Sono un esempio praticamente unico di cosa dovessero essere i grandi bronzi greci del V secolo a.C.”, Federico Zeri, “Dietro l’immagine”, 61-62. Non ne sono rimasti altri. Ma Reggio, che li espone, non attira gli studiosi – non promuove studi, non organizza simposi, non si fa pubblicità.
 
La regione con la sanità ufficialmente più disastrata, con le amministrazioni di destra e con quelle di sinistra, ha effettuato lo stesso numero di tamponi, più o meno, per 100 mila abitanti della Toscana, l’Emilia-Romagna, la Liguria, e molti di più di tutte le altre regioni meridionali. La necessità aguzza l’ingegno? Al Sud è proverbio errato. Ma qualche verità deve avercela.
 
Il maestro Arlia, 31 anni, concerti ala Carnegie Hall e alla Filarmonica di Berlino, è celebrato da “Buone Notizie”. Tipo un immigrato che ce l’ha fatta. O una coltivazione sfiziosa – il crisantemo sulla tomba, o sulla spazzatura.
 
Arlia è celebrato anche come “più giovane direttore di conservatorio d’Italia”, il “Tchaikovsky” di Catanzaro-Nocera Tirinese – lo dirige dal 2014, cioè dai suoi 24 anni. Un conservatorio di cui si dice: “900 studenti, una parte consistente dei 5 mila aspiranti musicisti della regione”. Come di perditempo, o di illusi, superficiali. Calabria non si può legare a musica, anche se molti la praticano.
 
Alarico, dopo aver saccheggiato Roma, pretese per il riscatto metalli preziosi e sacchi di pepe. Forse per questo si avventurò in Calabria: era ghiotto di peperoncino.
Ma questo Alarico, di cui Cosenza si onora, in effetti è rincuorante: che il glorioso impero romano sia crollato per mano sua. C’è sempre una speranza.
 
Emanuele Trevi, “Due vite”, dice che Rocco Carbone s’immaginava come il comm. Ingravallo di Gadda, “misero e pertinace”. Per essere, pensa Trevi, “arrivato in città da un Meridione opaco, per niente solare e tanto meno dionisiaco: un retroterra di grigiore sociale e culturale dal quale era possibile portarsi dietro nient’altro che il decoro del contegno e una scienza disillusa del cuore umano”. Ma a Reggio, dove Rocco era nato, e a Cosoleto, dove era cresciuto, con la madre maestra e il padre sindaco, no: la cultura non manca, né il decoro.
 
Nella villa palladiana di Nugola a Pisa, dove Rocco vive un matrimonio alla Grande Gatsby con Samantha Traxler, Trevi nota invece un particolare molto calabrese: “Nel garage fiammeggiava una Bmw rossa, regalo di nozze dei suoi”. Al Figlio.
 
Persefone, nume tutelare di Locri e delle subcolonie locresi, figlia di Demetra e Zeus, è incestuosa, prima che vittima di Ade – che peraltro era suo zio, fratello del padre: con Zeus genera il Toro, di molte toponomastica e varia simbologia.
 
Locri è colonia femminista – matrilineare. Ma la donna non vi ha nome in realtà. “Persefone o Persefatta” Calasso (“Le nozze di Cadmo e Armonia”,225-6) dice “nomi oscuri, nelle cui lettere risuonavano l’assassinio (phónos) e il saccheggio (pérsis). Sovrapposti a una bellezza senza nome se non di Fanciulla: Core”. I Greci non amavano le donne.

leuzzi@antiit.eu


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