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martedì 2 marzo 2021

Vecchia nuova Africa

“L’Africa, se Dio vuole, è il paese senza alfabeti e scritture”. È un riflesso nel solco della “terra incognita”, o “selvaggia”, dell’Africa dominio e testimone della natura dura e pura. Ma è considerazione che, su altre prospettive, venivano facendo – avevano appena fatte – Leiris e Lévi-Strauss, l’antropologia delle diversità.
Nell’estate del 1939, un anno dopo l’America, Cecchi affronta l’Africa. L’Africa portoghese, dal Capo Verde fino al Mozambico, a bordo del piroscafo portoghese “Colonial”. Partenza da Siviglia, con tappe a Capo Verde, San Tomé, Luanda, Città del Capo, Mozambico. E ritorno, si suppone: le corrispondenze che Cecchi ha pubblicato sul “Corriere della sera” sono state raccolte come “appunti” per un libro, di cui, seppure c’è stato un progetto, non ci sono tracce – era intanto scoppiata la guerra.
Si parte con Siviglia. E col mercante fiorentino Francesco Carletti, “il mio concitadino”, che nel 1594 sostò alle isole del Capo Verde. Che verde non erano e non sono, ma desertiche – popolata dai portoghesi con le africane di Guinea, della costa. È vigilia di guerra, ma non si sente.
Il primo impatto è con la diversità. Com’è giusto – oggi si vuole omologare tutto, a fin di bene certo. La butalità del canto locale, a fronte “della capacità d’invenzione polifonica che, in uno «spirituale» di negri americani, dà carattere e voce ad ogni più piccola parte”. L’Africa è tutta un afrore: umida, bagnata, appiccicosa. A volte anche poco africana, il critico viaggiatore non si applica: a San Tomé si sveglia, e si pensa “nel Virginia, nel Carolina del Sud”. Il “pezzo” centrale della raccolta, i “Dansarinos” di San Tomé, che lo affascinano, non gli riportano alla memoria Dioniso e i tanti misteri classici, compresi quelli dela musica e della danza degli antichi greci. L’Africa è un’altra umanità. Ma senza mai una nota di disprezzo o biasimo.
E quando è rondista, ricercato, non smette di raccontare dal vivo, da inviato speciale, di cose viste. La vestizione per la cena del governatore a San Tomé dà corpo alla liquefazione fisica dell’europeo all’equatore. Molto anche riesce a vedere, seppure fuggevolmente. Con l’aiuto di un fotografo compagno di viaggio, col quale la confidenza stabilisce dandogli consigli pratici, da ex presidente della Cines. La verbena, i fuochi d’artificio portoghesi, “una cerimonia” che dura anche tre e quattro ore. L’isolamento dei missionari. La messa sul piroscafo, dal ponte, senza nessun fedele, senza nessuno nemmeno a servire. Nell’economia della miseria le diseconomie del malgoverno. Il Mozambico manca di manodopera, i mozambicani fanno più volentieri i frontalieri con la Rhodesia e col Transvaal a regime inglese, dove guadagnano quel tanto che permetterà loro di sopravvivere, e di pagare la tassa che il governo portoghese esige da ogni vivente.
Un viaggio nelle solitudini e nel silenzio: “Non appariva un’anima; ma di tanto in tanto sentivo tossire qualcuno che non vedevo; ch’è il suono familiare dell’Africa, l’interpunzione dei suoi tremendi silenzi”. Ha un lampo di genio anche, quando ritrova nei volti dei giovani africani “l’origine di una pratica degli scultori egiziani, che davano risalto e turgidezza all’attaccatura dei labbri”.
Un periplo da “civiltà dell’impero”, ma con occhio partecipe, se non critico. In Africa c’era già stato Gide a obiettare , e perfino Céline. Cecchi non lo sa, ma è buon cristiano, ed è curioso. L’odore dell’Africa è ”lugubre e ubriacante”. La povertà va con la bruttezza, e entrambe sconfinano nel caratteriale. La danza e il canto sono poveri, e anzi miserabili. Ma l’approccio è diverso nella spenta letteratura di viaggio italiana: è di cose viste. E si fa leggere, l’Africa c’è – anche ora che è, forse, tutta cambiata. La prosa anche è moderna: spoglia, di cose – il rondista dorme. riafiora
Uno dei pochi libtri di viaggio sull’Africa che ancora si lege – si potrebbe, la riedizione Ricciardi è del 1955, per i settant’anni di Cecch. La prima e unica edizione delle corrispondenze che Cecchi pubblicò al ritorno sul “Corriere della sera”.   
Emilio Cecchi,
Appunti per un periplo dell’Africa

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