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sabato 3 aprile 2021

Il racconto del lavoro appassionante

Il romanzo dell’Uomo Lavoratore quale si è vagheggiato inutilmente (da Volponi e gli altri scrittori della “fabbrica” Olivetti, o dai tanti neo realismi, fino alla “Storia” di Elsa Morante) nel lungo dopoguerra, a opera di uno non “in linea” e quindi a lungo incompreso e anzi isolato, nella sua stessa casa editrice  – benché reduce da Auschwitz eccetera. Un capolavoro, di narrativa. Forte del linguaggio, come lingua, molto dialettale, corposa, operaia, quale si idealizza, e come forma – ritmo, costrutti, sintassi asintattica.
Il “giuanin” di Primo Levi si chiama Faussone, è un montatore, un impiantista, ha girato il mondo, Russia, India, Alaska, Africa di sopra e Africa di sotto, ne ha viste di tutti i colori, come si dice, e le racconta a Levi. Gliele sa raccontare, niente di epico, apparentemente, tutto scorre nell’ordinario ma tutto interessa. L’eroismo del lavoro viene fuori senza dirlo, la duttilità, l’intelligenza, la passione. Con una punta del vecchio “lavoro italiano nel mondo”, l’orgoglio del lavoro ben fatto  che in bocca a Faussone suona solo piacevole.
C’è di tutto, la cronaca, il dramma, lo scherzo. La tecnica, la fantasia, il chiaroscuro. Un Primo Levi insolitamente entusiasta si lascia anche lui trascinare dal suo lavoratore universale. Coprotagonisti sono il derrick, il rame, l’alluminio, il pieghevole, l’inossidabile, gli elementi familiari al Faussone che li addomestica.   
Un racconto anche sull’arte del racconto. E dell’ascolto – sul ruolo del lettore-ascoltatore nel ricrearsi la narrazione.

Primo Levi, La chiave a stella, Einaudi, pp. 197 € 11

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