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mercoledì 4 gennaio 2023

Secondi pensieri - 501

zeulig

Inferno – “Lei non sapeva che l’Inferno è l’assenza”, Paul Verlaine, “Jadis et naguère”. Questa che sembra una agudeza, immaginare il castigo eterno come un’assenza, un vuoto, è però ciò che di infernale si sperimenta in vita, di ansia, paura, dispetto – il dolore fisico, la sofferenza, è altro che l’inferno inamovibile, è combattimento, per quanto disperato.


Noia - Vecchio tema francese, di Baudelaire (spleen), Flaubert, Verlaine - non Balzac, non Zola. Letteratura, dei letterati che non sanno che fare nel tempo libero. Ripreso da Moravia, per il quale era caratteriale - era uno che s'annoiava subito, anche con le donne, che amava frequentare a preferenza degli uomini, anche con amicizie o relazioni stimolanti, Pasolini, compagno di vacanze e di cene, Gadda.

La noia come stanchezza psichica, anche morale, malinconia vaga, nevrastenia, spleen, depressione, languore, tristezza, debolezza. Sainte-Beuve la imputa a Chateaubriand – “Chateaubriand ha come generato questa noia incurabile, malinconica, senza causa… il male di René”. Ma è materia vecchia, patristica: accidia, acedia.
 
Si fa grande caso dell’ennui di Baudelaire e dell’ennui di Flaubert, che furono però autori di molte migliaia di pagine. Moravia, autore de “La noia”, è forse il più prolisso scrittore italiano. Infaticabile, giorno dopo giorno.
 
Politiche identitarie – “Politiche del risentimento” le voleva Harold Bloom - Joshua Cohen, “I Netanyahu”, p. 269. Cui però non dava senso negativo: “Trovo curioso”, diceva, “che tanti dei nostri autori migliori considerino il «risentimento» come intrinsecamente negativo”.
 
Risentimento – È forse il tema più pensato in questo Millennio. Con un senso di angustia, essendo esso soprattutto il rovescio – o l’esito - delle “magnifiche sorti e progressive”. Ma Leopardi, due secoli fa, ne era immune? È la cartina al tornasole dei limiti del Millennio, dell’incapacità di pensarsi, dopo la lunga stasi creativa del postmoderno che ha chiuso l’esuberante – creativo\distruttivo - Novecento.  
La trattatistica sul risentimento è affollata sulla traccia di Girard. Ma è il tema probabilmente più diffuso, se non pensato, da Omero in poi, nella letteratura cioè oltre che nella vita – la prima violenza fra esseri umani nasce dal risentimento.


SinistraQuarant’anni fa un lungo saggio in due puntate sul “New Yorker” lanciava la parola e il Concetto, la globalizzazione, e apriva il mondo a un’economia senza più barriere. Niente più dazi né contingenti, e investimenti liberi di passare tutte le barriere, comprese quelle, ancora nobilmente in vigore, del comunismo. Erano gli anni di Reagan e di Thatcher, e di Milton Friedman, che
teorizzavano e praticavano il liberismo senza limiti. E la ricetta si accettava come “più produttiva” anche dagli economisti keynesiani, sempre piuttosto sospettosi verso l’arricchitevi. Dalla Cina Deng Hsiao Ping rispose con le quattro modernizzazioni, dell’agricoltura, l’industria, la tecnologia e la difesa, al fondo e al capo delle quali stava il confronto internazionale dal Grande Balzo maoista alla Grande Apertura - al teorema ricardiano della maggiora ricchezza attraverso i maggiori scambi.
L’organizzazione “americana” del Wto, del commercio mondiale, fu subito aperta ai nuovi entranti – sola esclusa la Russia. Gli investimenti in un fiat si delocalizzarono (metà del ciclo produttivo
tedesco, più o meno, si svolge oggi in Cina), quasi tutte le “catene di valore” (le reti produttive) passarono in capo alla Cina, ai grandi centri asiatici di produzione. La produzione e il lavoro nelle aree già industrializzate furono rivoluzionati. Nei soli anni 1990 l’Italia contò tre milioni, almeno tre milioni, di licenziamenti, tra i cinquantenni e più. All’insegna della riduzione dei costi. Verso il basso, irraggiungibile, baricentro asiatico – si passò dal lavoro fisso al lavoro mobile, esterno, a cottimo, a ora.
Il mondo ha vissuto, sta malgrado le tentazioni protezioniste ancora vivendo, un fatto politico rivoluzionario. La globalizzazione è la rivoluzione che non si dice, mondiale, radicale: ha portato due terzi dell’ex Terzo Mondo, povero e senza armi, tutta l’Asia e due terzi dell’America Latina, tre, forse quattro, miliardi di persone, dalla povertà all’affluenza, in pochi anni. Un evento senza precedenti. Su strategie e a opera della politica più conservatrice e nell’ottica degli interessi monopolistici, finanziari, industriali, commerciali, perfino delle professioni libere.
La sinistra non ha ispirato questa rivoluzione. Non l’ha governata. Non ha saputo. Forse non se ne è nemmeno accorta – l’opinione in Europa è sempre autoreferenziale. Ha solo patrocinato, mosca cocchiera, le trasformazioni che i monopoli hanno imposto. La disgregazione, anche legale, normativa, del mercato del lavoro – specialmente radicale in Germania. La liberalizzazione del commercio e di ogni altra attività secondo gli indirizzi e gli interessi delle forze monopolistiche del mercato. Ha perfino, non richiesta dalla globalizzazione ma nell’ottica del minor costo, indebolito, quando non liquidato, le politiche sociali, la sanità, l’istruzione, la ricerca scientifica. 
La rivoluzione mondiale, storica, della globalizzazione, si è peraltro prodotta in un’ottica produttivistica del “minor costo”, che di fatto è solo uno slogan, chiunque lo vede. Anche dal punto di vista produttivista. Si riducono i salari e si aumentano i prezzi. L’inflazione che oggi si registra contabilmente è stata forte anche negli anni passati, per tutti i generi di prima necessità, e anche per le abitazioni e i trasporti – e per i concerti, dirà uno scanzonato Gaber. “Destra e sinistra”, a scempi già compiuti, nel 994: “Il concerto nello stadio è di sinistra,\ i prezzi sono un po’ di destra”. La “crisi fiscale” dello Stato che in contemporanea col lancio della globalizzazione fu teorizzata e decretata sembra non avere fine. Ma questo è segno e colpa della sinistra politica, che lo Stato sociale ha teorizzato e realizzato (lo ha realizzato per primo Bismarck, mezzo secolo prima del laburismo inglese, ma incalzato da un forte partito Socialista - il cancelliere di ferro fece una elezione, nel 1878, e poi una serie di leggi eccezionali, contro i socialisti, i giornali, le manifestazioni, ma si approprio di buona parte del loro programma).
Bobbio voleva la coppia destra-sinistra una sintesi di differenti assiologie. Di differenti, opposti, canoni filosofici interpretativi della realtà - ma sarebbe meglio dire ordinativi della realtà. Come se la politica fosse progettuale. Ma non per un fondo di idealismo? La politica è progettuale per fatti concreti, di conquista e conservazione del potere.
Questo tipo di alterità costringe anche a interminabili acrobazie intellettuali – la lettura dei giornali ne è asfissiata – per fare le parti politiche. Si può tuttavia accettare questa impostazione, se non altro per motivi storici, per essere stata il nostro passato prossimo. La partizione sintetizzando fra una destra individualista che coltiva e impone l’interesse proprio, di classe, e una sinistra di classe che invece cura quello sociale, la solidarietà cercando nella perequazione. Una partizione ambigua, fra interesse e solidarietà, e rovesciata, fra individuo e classe,   
Si tralascia il rovesciamento di fronti tra sfera privata e libertà di giudizio. In troppi casi la sinistra avendo fatto proprie le inquisizioni, anche di interessi e ambienti squalificati come le cronache giornalistiche di nera e giudici malavitosi, con le tipologie del terrore di Rrobespierre: le voci (intercettazioni, indiscrezioni), la denuncia, il falso processo, l’esecuzione. Con vittime martiri, come il giudice Falcone – per non dire del “fascista” Borsellino.
Questa è debolezza mentale. Culturale ma perché è mentale. Anche se si radica in una cultura politica del tanto peggio tanto meglio, e del “popolo eletto” berlingueriano. Che politicamente si è stato un suicidio di massa. È una deriva, cioè, molto circoscritta al caso Italia, alla vita politica avventurosa della Repubblica, che per cinquant’anni è stata confrontata da un partito Comunista fortissimo, e ferreo, che alimentava la cultura del sospetto. Sul modello sovietico. Dalla quale l’Italia non riesce a liberarsi, benché il sovietismo sia morto e sepolto.
Ma è una deriva attiva, e anzi crescente, anche negli Stati niti, senza nessuna ombra di sovietismo. Nel nome di “diritti” di ogni specie, intolleranti benché limitati e limitatissimi. Quasi sempre superati dalla realtà – non c’è “diritto” non riconosciuto e applicato. Ma alimentati da una cultura curiale, avvocatesca – del patrocinio gratuito, a percentuale. Parte della deriva generale che l’ideologia del mercato (globalizzazione) ha impresso a quella che si può dire una prima forma di “cultura mondiale”.
(fine) 

zeulig@antiit.eu

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