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giovedì 11 maggio 2023

L’Europa abbaia a Pechino

Che farsene della Cina? Posta in Europa, la domanda è di una Lilliput che signorialmente guarda al mondo gigantesco di Brobdingnag.  O come il cane che abbaia alla luna. Tanto più che l’Europa se la pone perché gli Stati Uniti le impongono di porsela. Non impongono, la consigliano, la suggeriscono, la gestiscono, con interventi quotidiani, diretti e indiretti, di centri studi, esperti, specialisti, giornali e giornalisti fidati. Su nessuna base convincente: perché fare la guerra alla Cina? Boh. Ma l’Europa diligente vi si appresta. Anche se, peggio ancora, al modo europeo: se la pone in Germania per fregare la Francia, e viceversa - e ora stanno col fiato sospeso, dicono, fingono, contro l’Italia: cosa farà Meloni, che aspetta a denunciare le intese con Pechino?
Questioni serie, come la sfida di Biden alla Cina su Taiwan, e pericolosissime, vengono viste in Europa come un gioco di Risiko. Per superficialità, di un’opinione pubblica forse infetta e comunque incapace, più che sciocco bellicismo. Ma l’esito è un modo europeo di fare politica estera ancora ottocentesco, di interessi nazionali vissuti in ottica di primato, della Francia contro l’Italia, o contro la Germania, eccetera.
In Germania gli azionisti pongono all’assemblea Volkswagen il problema etico di produre automobili in Cina, avvantaggiandosi dello “sfruttamento etnico” degli Uiguri nello Xinchiang (la geografia non collima ma l’accusa è questa). Gli azionisti essendo pochi, pochissimi, quattro o cinque, con poche azioni. Un gruppo di pressione che ha acquistato qualche azione per poter intervenire in assemblea. Per conto di chi?
Volkswagen non se ne dà colpa (ha le spalle larghe, sa di che si tratta), e continua a fare della Cina il suo maggiore hub produttivo – unicamente impensierita dal calo delle vendite a causa del covid, del lungo lockdown cinese. Del resto il cancelliere Scholz, nonché non denunciare gli accordi (che ora l’Italia dovrebbe denunciare) con la Cina, vi si è recato in pompa sei mesi fa, con corteo di imprenditori e banchieri. E l’effetto, uno degli effetti, si vede oggi, con l’entrata della cinese Cosco nella proprietà del porto di Amburgo.
L’Europa risponde singolarmente alle pressioni americane. E al suo modo, tentando di fare le scarpe al vicino europeo, o metterlo in difficoltà. Il presidente francese Macron, e poi il premier spagnolo Sanchez, si sono subito organizzati, dopo la sortita di Scholz, e hanno arrangiato proficue trasferte a Pechino. Macron si è vantato di portare indietro intese e veri e propri accodi industriali in ben 51 punti.

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