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venerdì 7 luglio 2023

Racconto felice di un’infanzia piena – del filosofo del niente

Niente padre (quindi niente Super-Ego – ma è sicuro?). Accudito da un nonno “Victor Hugo”, teatrante e invadente – ma col nipote la giusta misura: uno Schweitzer alsaziano e protestante che ha sposato una cattolica. La quale non gli parla: “Attorniata da virtuosi commedianti, aveva preso in odio la commedia e la virtù. Questa realista così fine, sperduta in una famiglia di spiritualisti grossolani, si fece voltairiana per sfida senza avere letto Voltaire”.  Con una mamma tutta per sé – anche se obliterata dal nonno suo padre - “cinquant’anni più tardi, sfogliando un album di famiglia, Anne-Marie”, la madre, “si accorse che era stata bella”. Anne-Marie aveva avuto Jean-Paul a 23 anni, e viveva ancora, accudita dal figlio a Parigi, quando il libro fu pubblicato, nel 1964.
Un avvio di fuochi d’artificio, brioso, scanzonato, tutto cose, che in qualche modo resiste per le duecento pagine. Cento per “leggere”, che fu facile e anzi la sola occupazione, il solo “gioco”,  e cento per “scrivere”, che invece fu difficile – e si sa, si è visto. Il vizio di riflettere a ogni parola è ancora circoscritto – rispetto ai racconti del “Muro”, al romanzo della “Nausea”. Questo che oggi si direbbe un memoir, il racconto dell’infanzia e dell’adolescenza dell’autore, fila via tra invenzioni sempre appuntite, tagli virtuosi, personaggi vivi e vari, non ce n’è uno stereotipo. Specie sugli Schweitzer, luterani alsaziani che nella catastrofe del 1870 avevano scelto la Francia. E sui matrimoni di Fine Secolo, di coppie che non si corteggiavano e non si stimavano (parlavano) ma facevano figli - di sessualità animale? per accrescere il patrimonio? Con un paio di pagine acute su Paul Nizan, futuro grande amico alla Scuola Normale, qui intravisto per qualche settimana o mese alla scuola media. Sul fondo del mammismo, il legame stretto con Anne-Marie, la madre-sorella, che avrebbe poi trasposto nelle innumerevoli e concomitanti relazioni femminili. Innocenti, non adulterine, ma come incestuose: qui fa sapere, in nota, di avere
“a lungo sognato di scrivere un racconto su due ragazzi perduti e discretamente incestuosi”. Tra lampi di grande storia. Anche se presto si impongono le autoanalisi, il vizio adulto sovrimpresso al bambino.

Sul piano personale la constatazione di avere scoperto il mondo nei libri. Nelle idee del mondo invece che negli eventi, le cose, le persone. “Ho confuso il disordine delle mie esperienze libresche col corso rischioso degli avvenimenti reali. Da qui venne quell’idealismo da cui ho messo trent’anni a disfarmi”.
Opera tarda, di Sartre sessantenne, invischiato nella politica, nell’alcol e nelle anfetamine, oltre che nella (controversa) fenomenologia, che invece fa mostra di una freschezza inossidabile, una sorta di opera prima. Un’infanzia privilegiatissima, raccontata con humour, e con qualche insegnamento, perché no. Per il pubblico dei lettori, e personale. In particolare per la ginecomania: una bambino cresciuto con una sorella grande, la madre Anne-Marie, che avrebbe voluto anche una sorella minore, cui fare da compagno e maestro - che non è “scientifico” ma rende l’idea.  
L’edizione tascabile francese è arricchita di un indice dei nomi propri ricorrenti, e delle opere citate, delle lettura del giovane Sartre.

Jean-Paul Sartre, Le parole, Il Saggiatore, pp.192 € 21
Les
Mots, Folio, pp. 212 € 6,50

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