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giovedì 6 settembre 2012

Eco e il romanzo (debole) di informazioni

Si salva la Parigi iniziale, da rifiuti, dove il fiume è la Bièvre, “febbricitante, rantolante e verminosa” (Dumas, Sue?). E le vecchie ricette: la bagna caöda, il bollito misto, il brasato al barolo - i bicerin variati, il civet, la finanziera, gli agnolotti alla piemontese… Poco.
Eco gioca al falsario. Da studioso più che da narratore - “chi deve falsificare documenti deve sempre documentarsi”. Anche “da buon lettore di Dumas”, ma senza crederci. Passando sopra la verosimiglianza – “quando tutti i fatti appaiono del tutto spiegabili e verosimili, allora il racconto è falso”. Con un plot ambizioso: accomunare nel Grande Complotto quello dei “Protocolli”, gli ebrei stessi, i gesuiti e i massoni.  Ma non sa essere “sobrio e essenziale”, come è l’uso nei “rapporti segreti” che gestiscono questi plot, non può: lo studioso vuole essere divulgatore, e per questo è prolisso.
I “complotti” del secondo Ottocento, intende Eco, sono di per sé romanzeschi. Ma questo romanzesco devitalizza. Con molte parole – trascurando magari fatti (quelli veri) e personaggi (Bertillon per esempio) d’impatto più notevole. Il protagonista, poi, Simone Simonini, nome arciebraico, è una spia del regno di Sardegna… Copiato un po’ da Maurice Joly, l’allegro inventore dei “Dialoghi infernali di Machiavelli e Montesquieu”. Un po’ da Hermann Goedsche, oscura e torva spia tedesca che però in un altro Sessantotto, il 1868, raggiunse fama mondiale con “Biarritz”, il romanzo del cimitero di Praga, da cui Eco prende titolo e complotto, scopiazzando per il resto da Joly – che scopiazzava da Sue: ogni cento anni i rabbini delle dodici tribù d’Israele si riuniscono presso il cimitero di Praga per coordinare il controllo del mondo. 
Ma potrebbe essere J.B.Simonini, un uffciale italiano, che era stato nel 1806 l’autore di una lettera a Barruel, il gesuita principe dei complottardi, in cui lo informava che ottocenti preti in Italia, inclusi vescovi e cardinali, erano ebrei. Aprendo un nuovo fronte, ricco semrpe più di vecchi schemi. Il 14 maggio 1994, nota lo storico dela Siria Daniel Pipes in “Conspiracy”, il giornale di lingua inglese a Damasco, “Syrian Times”, scoprirà che “il 30 per cento dei vescovi protestanti negli Usa sono ebrei che non hanno abbandonato l’ebraismo”. Troppi echi.
Incommestibile prima che indigeribile: si fanno già, a metà Ottocento, chiac chiere “da bar”. La storia non si presta alla mimesi, non a quella ironica. O l’ironia non a cinquecento pagine. Ma opera ciò malgrado importante 
Una costruzione dotta, un po’ a cannocchiale (flashback), un po’ en abîme, a specchi contrapposti. Anche in omaggio al “dottor Froïde”: il turpe protagonista e una delle sue vittime si confessano a vicenda. E un repertorio delle culture moribonde, o della crisi, dell’Occidente: personalità disintegrate, cattive coscienze (razzismo, sciovinismo, saputeria), il vero\falso, il “dottore austriaco” misirizzi, il potere sempre perverso. Con l’occhio clinico del contemporaneista – Eco sa di che si parla. Ma opera di falsario – Lucas è il nume tutelare, uno che riscriveva la storia e le storie con documenti originali di suo pugno. Quindi vero o falso? E chi è Babette d’Interlaken, “degna pronipote” di Weishaupt – chi è Weishaupt? In internet ci sono, ma che ci fanno qui?
Una lezione per matricole, paziente. Che però finiscono per confondersi: troppo didascalica, su fatti troppo noti. Il punto debole è del resto dichiarato, alla fine - una excusatio in forma di rivendicazione (“Inutili precisazioni erudite”): di avere orchestrato il tutto con personaggi e situazione reali - che però sono inventori e protagonisti di storie false. Avesse inventato qualcosa non avremmo la sensazione di leggere una prolungata cronaca giudiziaria, assillante come tutte e deludente - come dice lo stesso autore, la “Forma universale del Complotto” è questa, che “la gente crede solo a ciò che sa già”: il complotto conferma il pregiudizio e stanca, l’antisemitismo, lo sciovinismo, il terrorismo, l’antiterrorismo, la mafia, l’antimafia, i piemontesi (povere vittima, è ora di rivalutarli), i pentiti, i padri Barruel e Bergamaschi… Nel mentre che rifà la storia del “complotto ebraico” inventato nell’Ottocento, Eco ne inventa uno sull’unità d’Italia. Un secondo assioma imponendoci di considerare dopo quello della credulità: il complotto è unitario, anti-complottisti compresi. Oppure: il complotto è contagioso.
Questa è l’epoca del fake, del falso, e Eco, Swift bonario, non può esimersi dal farne la satira. Non ha torto: c’è il giallista di fama che stronca i gialli dei concorrenti, sotto falso nome, e il presidente della Ue che si fa autenticare le firme online di sostegno, che non siano dei suoi assistenti, non ci sono solo Facebook e i marciapiedi, ingombri di magliette e scarpe. Ma non si ride, quando non si “salta”. E anzi rischia lo stesso satirista: fine lettore dell’avventuroso, si bea anche lui del (falso) giornalismo, saccentuolo, scrivendo un “romanzo” di informazioni - peraltro note.
Umberto Eco, Il cimitero di Praga, Bompiani Vintage, pp. 522 € 14

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