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sabato 3 agosto 2013

Il rap dell’io-me

Capita d’incontrasi per caso. Cercando ripetutamente e a vuoto in libreria, allo scaffale Poesia, Anna Maria Carpi, “Quando avrò vita”, una raccolta molto recensita ma evidentemente non stampata, ci s’imbatte invece sempre in questo adiacente rumoroso Catalano, che si spara in copertina con la pompetta del vecchio clacson, e nessuno recensisce. Finché non si lascia Carpi per Catalano, come arrendendosi, e invece vale la pena. 
Catalano non dice molto di sé, se non che è “poeta e performer”, e in effetti questo è, un rapper: temi, metrica e aggettivazioni, con versi monoverbali e anche monosillabici, e le iterazioni. Da manuale “Io non so”, “Cane calmo”, “Tutti al mare”. La raccolta sembra di canzonette, seppure monocordi: rap. Ma con qualcosa in più: Catalano rinnova la poesia burlesca, adattandola nel linguaggio e i temi. Ne ha la plasticità: “Immaginare il cemento” fiorito e profumato, “Io una volta amai una gatta”, “La bambina che contava le gocce di pioggia”, “La ragazza che sbucciava le ciliegie”, o “Ragazza che stendi le noci ad asciugare al davanzale”..  
È della generazione di Furia Cavallo del Re, Snopy e i Supereroi, che il rap se l’è trovato fatto ai quindici anni. E lo esercita con qualche deviazione. Numi tutelari sono, con ragione, Demis Roussos e Mark Knopfler, il poeta laureato (all’università, prima che con varie honoris causa), fondatore e leader dei Dire Straits, virtuoso del fingerpicking. E Billy Collins, poeta laureato Usa, autore degli “Oroscopi per i morti”, Charles Simic, poeta serbo-americano, Henry Sidgwick, il filosofo ottocentesco dell’etica permissiva, dei quali invece non c’è traccia nella raccolta. Idem gli  Skyantos, nel cui nome Catalano ha debuttato con una sua band. Non una colpa. Il limite è l’ombelicalismo – ci si diverte, ma fino a un certo punto, tra “sti cazzi” e “la merda”: Catalano ne è cosciente, della ripetitività e dell’egotismo, di “parlare di se stesso\con se stesso”, o “di quanto io sia stramaledettissimamentemente\ più fico”, il genere antipatizzante non antipatico, ma ancora se ne compiace. Intanto scopre il nero, degli occhi, dei capelli, che è suo ma lui lo vede nelle altre, è un inizio.
Guido Catalano, Piuttosto che morire m’ammazzo, Miraggi, pp. 157 € 14

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