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mercoledì 30 aprile 2014

L’intellettuale a Mosca non sa che pensare

Si traduceva vent’anni fa questo Derrida di ripiego, sessanta pagine non piene rinforzate da prolissi commentari di Ferraris, Resta, Rovatti, Sini, Vattimo, Vitiello. Sono tanti forse per promuovere il libro nei corsi universitari, ma il testo è singolarmente povero, anche delle concettosità che Derrida  impreziosiscono. Non reducistico né critico, un testo asettico. Non un ritorno da Mosca, propriamente, dove Derrida era stato nel febbraio 1990, a ridosso della caduta del Muro, un anno prima la caduta dell’Urss,  ma un “ritorno”: una riflessione sul genere. Con molti riferimenti a due “classici” del genere, il ritorno di Gide, quello di Étiemble e quello di Benjamin – che, bisogna ricordarlo, era stato a Mosca come innamorato sfortunato della temibile Asja Lacis. Conditi dall’illustrazione di “Back in Urss”, canzone dei Beatles. Un ritorno mesto, di uno che pure non era stato fervente sovietizzante: s’interroga sulla “testimonianza dell’intellettuale”, non sa che rispondere, sconsolato, sconsolante.
Jacques Derrida, Ritorno da Mosca

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