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giovedì 1 maggio 2014

Gli speculatori del sovietismo

Uno dei pochi libri veritieri, se non il solo, che ancora si leggono con profitto sul sistema sovietico, benché di professi solo una “raccolta di osservazioni”, o forse per questo. Di giudizio acuto e scrittura sobria. Onesto anche, senza il facile antisovietismo dell’Italia fascista. Di un’intelligenza  indipendente.
Alvaro girò l’Unione Sovietica tra la primavera e l’estate del 1934. Era inviato della “Stampa”, ma il viaggio fu comunque organizzato e controllato, soggetto alle premure degli ospiti. C’erano le collettivizzazioni forzate, e ci fu l’assassinio di Kirov, preludio ai processi all’interno del Pcus. L’albergo di Mosca gli appare subito “un’istituzione della Ghepeù”, la polizia politica. Tanto più per le “premure” che lo assediano, al punto da farlo sentire in colpa, inadeguato o irriconoscente.
La sua prima impressione è quella che caratterizzerà storicamente l’epoca sovietica: la provvisorietà, l’incertezza. Senza l’entusiasmo o la consapevolezza che sempre accompagna una vittoria, una presa del potere. Mentre il passato sopravvive polveroso e cadente. La rivoluzione è un fatto remoto, solo testimoniata dall’“ingente numero di storpi, mutilati, stroncati, vittime di quell’errare esaltato”. C’è la febbre per la “tecnica”, con associazioni di Atei, Materialisti Militanti, Senza Dio, e una consistente mancanza di sentimento. Del socialismo liberatore e comunitario non c’è niente. Con sgomento Alvaro scopre che “i loro stessi libri ci raccontano che i contadini recalcitranti nel primo tempo della socializzazione furono matati come buoi a colpi di clava, e che i giustizieri più efferati furono le donne”.
Si obbedisce. La parola d’ordine peraltro non è rifiutata e anzi entusiasma, seppure freddamente: “Raggiungere e superare l’Occidente”. Ma la denuncia del vicino, e perfino del familiare, è pratica corrente. E il controllo totalitario – Alvaro non si fa illusione sulla sbrigativa autorevolezza delle sue “guide”. Non si faceva illusioni neanche sui “transfughi intellettuali” che proliferavano in Occidente inneggiando a un bolscevismo di maniera, di cui non avevano conoscenza. Più che altro sacerdoti del “culto estetizzante di un’apocalisse moderna”. La sua solitudine intellettuale affrontava con fermezza, di molti individuando l’inconsistenza: “Di questi personaggi ne ho venduto alcuni a Mosca, sono più o meno speculatori del sovietismo: profittatori mantenuti nei grandi alberghi, e che su questa povera pelle proletaria fanno i loro affarucci in valuta estera”.
Corrado Alvaro, I maestri del diluvio

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