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martedì 6 maggio 2014

Dalla geometria politica alla poliarchia selettiva

Un omaggio al maestro della Scienza politica - per i novant’anni tra una settimana. Il creatore della “ingegneria politica” come variante applicata della stessa. Un’ingegneria tripartita: costituzionale, elettorale, partitica. Nel quadro di un “perfezionismo democratico” purtroppo sterile, che la collettanea, molto elaborata, tecnica, mette involontariamente in risalto.
Sartori, ottimo didatta, vuole tutto “a posto”, incasellato - cominciava l’insegnamento un tempo imponendo un corso di metodologia, che non era altro che l’uso del vocabolario: “È necessario parlare la stessa lingua”. L’esito è sterile, al termine di un percorso che, partendo da una radicale cancellazione del pregiudizio e da un’apertura senza paraocchi sul mondo com’è, finisce imbucato in una sorta di macchinismo, di razionalità politica a basso voltaggio. Che tende a escludere bisogni e tormenti, anzi li vuole esclusi: passioni, forze in campo, idealità, interessi, la materia viva della politica. Una procedura via via più semplificata, schematica, fino all’ultima inconcludente analisi di Berlusconi – la mediocrazia intesa come proprietà dei mezzi e non dei loro linguaggi (che invece sono politica, eccome).
L’esito è anni luce dal liberalismo iniziale: la democrazia come “poliarchia selettiva”. L’eccesso di formalismo porta lo studioso nel vicolo cieco della sociologia del potere o delle élites da cui rifuggiva – e ritiene tuttora di rifuggire. La geometria sarà un metro utile a misurare la politica, la quale però ad essa non si conforma. Non può e probabilmente non deve. Anzi non deve, altrimenti non ne avremmo avuto bisogno, l’avremmo già messa “a posto”, in un paio di teoremi.
Gianfranco Pasquino (a cura di), La Repubblica di Sartori, “Paradoxa”, gennaio-marzo 2014, pp. 162 € 14

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