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mercoledì 11 giugno 2014

Mossul a Al Qaeda, il petrolio a 200

Cento dollari a barile non bastano, ce ne vogliono duecento? Non è una prospettiva fantasiosa, se Mossul e il petrolio iracheno sono in mano a Al Qaeda. Basta l’Irak fuori del mercato del petrolio, con la Libia ingovernabile a seguire, per far impennare i prezzi – i derivati a termine sono già sulla prospettiva del rincaro. Quello del greggio è un mercato tight, a equilibrio instabile, bastano variazioni marginali nella produzione per impennare le quotazioni, beninteso al rialzo.
È la mesta conclusione del dodicennio di guerre di liberazione del mondo arabo in cui gli Usa hanno trascinato l’Europa. Che del rincaro del petrolio sarà la prima vittima – quella che lo pagherà tutto e di più. È anche una ratio dell’altrimenti inspiegabile santa alleanza tra Usa e Arabia Saudita nel sommovimento del Medio Oriente. Dell’Occidente schierato cioè con le forze mussulmane più integraliste. Ufficialmente contro le dittature, in realtà per rinfocolare nei paesi più tribali del mondo arabo, l’Irak e la Libia, le vecchie divisioni, che i dittatori tenevano a bada.
Irak e Libia, come la Siria, non sono insidiati da gruppi terroristici, ma da eserciti: forze organizzate, bene armate, regolarmente e profusamente approvvigionate, con basi e logistica. A opera dei paesi della penisola arabica. Stati patrimoniali, prima ancora che dittatoriali, e tuttavia immuni al radicalismo islamico. Questi stessi paesi, l’Arabia Saudita, il Kuwait, gli Emirati, saranno quelli che profitteranno di più del rincaro.

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