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sabato 4 ottobre 2014

Nazionalizzare il vincolo esterno

Basta così poco per uscire dal “vincolo esterno”? Basterà Renzi, egli pure (forse) un democristiano, come lo era (forse) Guido Carli, che il vincolo esterno teorizzava, per uscirne? Uscirne significa che l’Italia, potenza industriale, sa e fa quello che deve, per l’economia come per i diritti civili, della salute, dell’ambiente, etc., senza aspettare il “vincolo esterno”. Il “monito” di Bruxelles, quasi sempre “severo” - che orami da più anni significa  Berlino.
È presto per dirlo. Renzi in realtà non ha una politica estera – non ha neanche un ministro degli Esteri. E non sa personalmente come si fa, a quello che mostra. Il vincolo estero comunque c’è, poiché l’Italia è membro della Unione Europea e ha adottato l’euro. Si tratta di gestirlo senza vincolo. Senza moniti, cioè, né rimproveri.
Molto tuttavia è successo in questi mesi. Ancora nell’ultimo volume delle opere di Guido Carli, uscito in primavera, il sesto, dedicato alle testimonianze di chi lo ha conosciuto o ci ha lavorato, Mario Draghi, che di Carli fu direttore generale al ministero del Tesoro, e poi successore al governo di Banca d’Italia, ne ricordava cinicamente divertito la genealogia.
Carli disprezzava i politici, disprezzava la pratica “schizofrenica”, dice Draghi, dei governi italiani, e “sperava nell’azione del vincolo esterno”.
Era la chiave dell’antipolitica. Magari  autoinflitta – il politico che cavalca l’antipolitica è una nuova maschera (macchietta) italiana. Che Carli consolidò con Draghi a Maastricht, nelle trattativa per l’euro e poi nel trattato, confidando che il “vincolo esterno” avrebbe poi costretto l’Italia a soddisfare i relativi parametri. Una deificazione dei parametri, senza riguardo all’interesse nazionale.

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