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martedì 22 settembre 2015

Il fratello Brontë

Le sorelle Brontë avevano un fratello. Dopo Charlotte, Emily e Anne, veniva lui, Patrick Branwell. Era il minore e lo è rimasto, dimenticato. Benché fosse studioso di storia, esperto di latino e greco, pittore suggestivo, musicista raffinato, e un po’ disperato, drammaturgo già a tredici anni. Disperato realmente, non seppe tenersi un lavoro, non ebbe amici o quasi, e viveva al pub. Nel famoso ritratto delle tre sorelle nel 1834, che è opera sua, si cancellò una notte in un ascesso di furia – è l’ombra al centro, trasformata in colonna. Lo rianima Silvio Raffo, rianimatore di tanta poesia angloamericana femminile, facendo uno strappo alla specializzazione, con i testi originali e una presentazione simpatetica.
Il fratello fu geniale già da subito. Compilatore con Charlotte del  “leggendario ciclo di “Angria”, come già dei “Young Men”, una serie di giochi di ruolo, molto inventivi nella ripetitività – quelli di “Angria” attorno a Napoleone e al duca d Wellington. Dagli undici anni, gennaio 1829, alimentò un proprio “sito”, un periodico come usava, che intitolerà “Branwell’s Blackwood’s Magazine”, una satura  di poesie, drammi, critica, storie, dialoghi. Il “Blackwood Magazine” era la pubblicazione di Edimburgo nella quale aveva seguito appassionato le sue prime letture seriali, le “Noctes Ambrosianae”, una serie di avventure di vari autori ambientate nella taverna di un Ambrogio – il periodico rifiuterà costantemente i suoi testi. Scrisse a De Quincey, che lo invitò. Scrisse a Coleridge, che gli suggerì di esercitarsi su Orazio (ottimamente tradotto, assicura Raffo) e poi voleva complimentarsi ma non lo fece – la lettera è rimasta incompiuta. E presto si spense, a 31 anni, sfinito dall’alcol e dall’isolamento – nelle famiglie che lo presero a precettore s’innamorava impropriamente, della figlia, della moglie, etc. Lo ricorderà solo una biografia di Daphne du Maurier.
Ossian alla potenza
Queste “Poesie” sono un cimitero: “Spossata giace la disperazione”. Un’epifania della morte: “A un tratto vidi la mia nuova vita:\ niente di ciò che amavo mi restava-\ in solitaria libertà infinita\ quieto vagavo a guardia delle tombe”. Al meglio è “L’inno del dubbioso”: “La vita è un sonno breve,\ i suoi eventi un sogno tormentato,\ la morte un risveglio improvviso\ a luce d’alba lieve”. Un rifacimento di Ossian, alla potenza. Con qualche ragione.
Branwell fu soprattutto il fratello di Emily, che morirà tre mesi dopo di lui - ma tutti poi morirono presto: Anne sette mesi dopo Patrick, Charlotte sette anni dopo, la sola che visse quasi quarant’anni invece che trenta. Ora si ricorda per la vita, anche in queste “Poesie”. Dai toni sempre cupi: desolazione, notte, silenzio, dolore, morte sono le parole ricorrenti, più volte in memoria delle sorelle Marie ed Elizabeth, morte di undici e di nove anni, quando Branwell ne aveva 5-6. Un dolore esistenzial. “Un altro baudelairiano «angelo caduto»”, lo dice Raffo, ma allora vero. Che Emily ha “trasumanato” in Heathcliff di “Cime tempestose”.

Era una famiglia speciale. Sir Patrick Brunty, il padre, si cambiò il nome in Bronte in onore dell’ammiraglio Nelson duca di Bronte, aggiungendo la dieresi per inglesizzarlo. Charlotte, Emily e Anne pubblicarono i loro rinomati romanzi con pseudonimi maschili, Currer Bell, rispettivamente, Ellis Bell e Acton Bell. I quattro fantasiosi fratelli erano stati accuditi, nota Raffo, da una tata irlandese, Tabyta Ackroyd, fantasiosa di racconti immaginari.
Patrick Branwell Brontë, Poesie, La Vita Felice, pp. 94 € 9

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