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domenica 13 marzo 2016

La Germania torna rancorosa

Non ci sono solo la Grecia e gli immigrati a non far dormire i tedeschi. Ora c’è pure Draghi, e anzi tutte le banche. Eccetto quelle tedesche, benché molto mal gestite e anche corrotte. Tutte le banche italiane e dei paesi che non si sa più se dire latini o mediterranei, insomma, “quelli là”, da vituperare, ecco, quelle del Sud, così è più semplice, mentre quelle del Nord Europa sono belle-e-buone. Eccetto quelle che falliscono - e anche la Finlandia (e forse la Svezia…). Oggi si vota all’insegna del rancore.
Non è una novità: i tedeschi si sentono sempre minacciati, abusati, derubati, e si lamentano. Ma ora di nuovo con l’astio. Non si percepisce fuori perché Angela Merkel fa diga, sia sugli immigrati che su Draghi, e alla fine anche sulla Grecia. La cosa va come lei è andata dicendo in questi anni ai suoi colleghi dei governi europei e mondiali: non posso fare di più, la Germania non vuole, e senza di me sarebbe un disastro. E non è una deriva momentanea o artificiosa, indotta da demagoghi o dalla cosiddetta stampa popolare – che invece in Germania è molto buona. È il mainstream del Paese che ha portato la Germania di nuovo al suo imbuto sciovinista e astioso: economisti, opinionisti, storici, industriali, banchieri.
È un’altra Germania, in un’altra Europa. Non ci si pensa ma è un fatto, consolidato, macroscopico: la fine della guerra fredda ha lasciato l’Europa a se stessa, e si scopre che non è cambiata. Non l’hanno cambiata le ecatombi della guerra. Non l’ha cambiata il disegno unitario, di una politica peraltro svanita – eccetto che per Merkel e pochi altri. Non del tutto, l’economia è unita. Ma l’Unione Europea ha inciso poco o pochissimo sulle identità nazionali, sulle psicologie storiche. Il tedesco si culla e viene cullato nella sindrome da accerchiamento e spossessamento. 

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