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mercoledì 30 novembre 2016

Il processo al processo

Roma sotto la cupola di Roma Capitale. Ma non di Carminati e Buzzi, di un processo mostruoso sotto ogni punto di vista, dacché forzosamente si è voluto accomunarlo a quello che trent’anni fa Giovani Falcone intentava ala vera mafia, con ben più solidi capi d’accusa – centinaia di assassinii, interessi miliardari, solide associazioni a delinquere. Quattro sedute a settimana, sfiancando gli avvocati, che non patrocinano solo gli imputati di Mafia Capitale, e diluendo per lo stesso motivo  gli altri processi, verso un’amnistia di fatto per prescrizione. Dibattimento a tappe forzate. Un a sentenza già scritta, dal momento in cui gli imputati sono stati relegati in video, e quindi per consultarsi con i difensori devono usare il telefono, con scarsa o nulla privacy e molta confusione. Con un’estensione già in atto, acquisita anche senza la sentenza, del reato più dubbio nei trent’anni dacché esiste: il concorso in associazione mafiosa. Mentre i politici con imputazioni più certe e gravi, peculato, concussione, distrazione, hanno ottenuto al patteggiamento pene irrisorie.

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