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sabato 1 luglio 2017

L'eroe dela Resistenza a Hitler, malgrado la Germania

Una celebrazione tardiva, e più malioconica che rigenerante, di uno dei più determinati oppositori di Hitler. Che riuscì a organizzare nel luglio 1944 una congiura e un attentato che avrebbero liberato la Germania dalle vergogne del nazismo e dalle distruzioni della guerra, ormai combattuta in terra tedesca.
Malinconica perché è la prima biografia, in tedesco, di uno storico e politologo tedesco, dell’uomo che organizzò la più articolata azione di resistenza contro Hitler, e l’avrebbe anche portata a termine con accuratezza e sagacia, non fosse stato per il caso – l’altro storico tedesco della Resistenza, e di Stauffenberg, Peter Hofmann, è da cinquant’anni cittadino canadese. Una biografia peraltro breve, anche se è il secondo o terzo intervento di Steinbach su Stauffenberg. Pubblicata in Italia dalle edizioni Dehoniane, in chiave quasi confessionale - gli Stauffenberg sono cattolici.
Molti film sono stati fatti su Stauffenberg e la sua congiura, ma americani.  Il cap. terzo di questo saggio, “L’immagine di Stauffenberg dopo il 1945” è forse il più interessante, e il più triste. La Germania non ha il culto della Resistenza: è l’unico paese europeo che non celebra la fine del nazifascismo. Come se se ne vergognasse, benché abbia avuto il fronte di fresistenza più ampiio, duraturo, determinato, contro Hitler. Si sa più delle donne della famiglia. Melitta, la cognata, aviatrice militare, di famiglia ebraica, dichiarata “meticcia ebrea di primo grado”, nella meticolosa classificazione germanica – e poi, per la stessa, classificata “ariana pemeriti”, avendo richeisto il “riconoscimento alla parità della razza”. E “Nina”, la moglie del conte Claus, l’attentatore, che, imprigionata incinta, diede alla luce in carcere il quinto figlio, una bambina, fu quindi confinata a Bolzano, e dopo la guerra liberata.
Una lettura veloce. Con una tavola cronologica, una bibligrafia scelta, e un’appendice fotografica.  
L’attentato non fu l’avventura di un nobile blasé. Era organizzato, e molto articolato. La risposta di Hitler fu altrettanto  ramificata dopo il 20 luglio: settemila arresti e 5.684 esecuzioni, di ufficiali e gentiluomini. Con molte esecuzioni “esemplari”, a fini dissuasivi: i più furono impiccati, con corde di piano, lacci di cuoio, canaponi di mare, filmati da centinaia di troupes, a ganci da macellaio o ai pali della luce.
La storia vera sarebbe quella dei tanti tedeschi morti contro Hitler, più che in qualsiasi altro movimento europeo di Resistenza. Prima della Soluzione Finale i lager furono per dieci anni pieni di tedeschi. Che però sono trascurati dalla Repubblica Federale. Per essere stati i più socialisti e comunisti, già antipatrioti e oggi tabù nella Germania divisa. E liberali. E cristiani. Nella storia italiana se ne farebbero monumenti. Ma la colpa collettiva, una forma facile di creazione del Nemico, è stranamente cara ai tedeschi. Ancora oggi, a democrazia infine accettata, non hanno cuore di ricordare quei morti, che poi sarebbe un giorno di ferie pagato. La Repubblica Federale non si dà neppure una festa nazionale, un 20 luglio, una liberazione qualsiasi. E le pensioni ai nazisti ha sempre liquidato, con qualsiasi governo, più rapida che alle vedove dei caduti per la Resistenza.
In aggiunta ai congiurati, oltre cinquemila parenti, vecchi genitori, mogli, figli, furono internati e più spesso sparirono, per delitto di consanguineità, l’antica norma tribale del Sippenhaft – tfra questi  “Nina”, la moglie di Claus von Stauffenberg. Ma la Germania se ne vergogna. Il nobile svevo Claus Schenk von Stauffenberg, letterato, liberale, è stato ridotto a sciocco colonnello prussiano, che vile mette la bomba quando Hitler ha perduto, per pulirsi la coscienza. Come se mettere una bomba a Hitler fosse un gioco. Questo non è stato detto neppure dei gerarchi che tradirono Mussolini. L’opera di Steinbach è semplice, ma non scontata.

Peter Steinbach, L’uomo che voleva uccidere Hitler, Edb, pp. 144 € 12,50

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