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giovedì 7 dicembre 2017

La poesia contro la rivoluzione divoratrice

“Amo la vita, non temo la morte”, il duetto di Andrea con l’amata corona la fatica impervia del tenore, e il destino del rivoluzionario vittima della rivoluzione. Nella quale, come nel dramma di Illica, muoiono tutti, accusati e delatori – “E mentre uccido, io piango”, si compiangerà il rivoluzionario Gérard. Nella storia Robespierre sarà ghigliottinato tre giorni dopo aver fatto ghigliottinare Chénier, l’accusatore robespierriano Fouquier-Tinville un anno dopo.
Un percorso che la borghesia aveva compiuto senza ripensamenti nel secolo trascorso da
Robespierre fino a Giordano. L’esito dispensando come una sorta di atto dovuto, nella logica delle
cose, al più da versarci su qualche lacrima - la borghesia dopotutto è la figlia del 1789. Che oggi è
invece intollerabile – è l’epoca controrivoluzionaria, o ragionevole? Il rivoluzionario Gérard è il
maggiordomo, che più di tutto ambisce a far sua la padrona. La quale può dirgli sprezzante: “Se di
sua vita fai mercede il mio corpo, prendilo!”. E Chénier al suo accusatore: “Uccidi? E sia! Ma
lasciami l’onore”. Conquistato combattendo per la Francia in battaglia, invece che ai processi “popolari”.

Un’opera compatta, tutta nervi, di autore giovane. Uno spettacolo, questa riedizione alla Scala. Per la tenuta di Eyvazov, che deve cantare per tutti, malgrado il fisico non appropriato a un eroe romantico. Il maestro Chailly ha voluto l’esecuzione fedele al canone verista originario, senza veleggiare in aggiornamenti. Martone per una volta ha dismesso il piglio d’autore, per “fare l’opera”. L’opera in effetti è a teatro, ma nello spettacolo tutto, il modo esressivo più coinvolgente: musica, canto, costumi, scene, balli, e temi senza vergogna romanzeschi.  
Umberto Giordano, Andrea Chénier, Teatro alla Scala

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