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domenica 24 dicembre 2017

Quando in chiesa si cantava

Ambrogio, il vescovo milanese eletto dal popolo, che nella seconda metà del IV secolo ne codificherà i riti, inaugura anche il canto in chiesa, corale, di popolo. Sulla traccia di Ilario vescovo di Poitiers, che ne aveva tratto l’uso dall’esilio in Oriente. Il canto in chiesa aiutava, scrisse sant’Agostino, appena convertito, nelle “Confessioni a Dio”, “la folla dei fedeli ogni notte in chiesa, pronta a morire per il suo vescovo”, vigile contro Giustina, la madre del giovane imperatore Valentiniano, che voleva cacciare Ambrogio e imporre gli ariani.
Sono canti di una religiosità ferma e conchiusa – non polemica, (ri)vendicativa, partigiana, né lagnosa. Il cui revival venti anni fa, cinque traduzioni distinte traduzioni, si è presto spento, dopo il pontificato di Giovanni Paolo II e il cardinalato di Martini.
Gli inni scandiscono le ore della preghiera e i tempi teologici. Una metà, laltra metà canta i martiri. In linguaggio semplice, e insieme complesso - forse per questo presto dimenticati, il revival fu un fuoco di paglia: Ambrogio versifica in dimetri giambici, metro latino dal ritmo semplice, analogo al settenario. Saranno una delle fonti del canto piano gregoriano..
“Resta la nostalgia”, si consola il traduttore dell’edizione Oscar, Mario Santagostini, “verso quel sentimento e quel modo di concepire lingua e poesia”. Che pena che i concili ultimi, per essere democratici, le abbiano ridotte a chitarrate.

L’edizione Oscar si avvale di un robusto inquadramento filologico di Carlo Carena. 
Ambrogio, Inni

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