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sabato 23 febbraio 2019

Letture - 375

letterautore


Albertine – È la scrittura come riscrittura, la mania di Proust. Esercizio creativo interminato, di sette giorni su sette, e non sei su sette. Della scrittura fine a se stessa, esercizio personale, come i ghirigori che si fissano sul taccuino mentre si conversa, si telefona, si riflette.  Per questo mutevole. Mutevole, nelle sue mille pagine, più che inafferrabile. O allora volutamente inafferrabile, un corpo inerte su cui esercitare la mania riscrittoria. Come persona e come tema: la gelosia. Che è probabilmente stata la passione più divorante dello stesso Proust. Più della stessa pratica sessuale, che Nicole Canet, “Hôtel garnis, garçons de joie, prostitution masculine - Lieux et fantasmes à Paris de 1860 à 1960”, pure documenta estrema, selvaggia. La possessività di Proust, che arriva a sconfinare nel dileggio, compresa l’amata mamma, è nota – “Nelle questioni di cuore Proust conferisce un’importanza nodale all’orgoglio, all’amor proprio e alla fame di potere e di possesso”, Alessandro Piperno.
Proust riscrive in continuazione, dal “Santeuil”, quindi dagli inizi, dal 1895, per trenta anni – “si scrive addosso” si direbbe di altro autore.

Cesare – L’incipit per cui è famoso, “Gallia est omnis divisa in partes tres”, non è di Omero, “Odissea”, 1,22: “Gli Etiopi, che sono divisi in due parti, gli uni verso Iperion al tramonto, gli altri verso il sole nascente”?

Grecità – “Quando l’arte esisteva ancora, ogni canto risuonava per un popolo di re. Erano tutti re, i greci”. Nel suo primo scritto, “Questione di donna”, Georg Groddeck ha, fra i tanti diorami fulminanti, questo sulla civiltà greca. Guerriera-maschile senza faglie. Fino a Pericle, quando Aspasia emerge.
La civiltà è matrilineare, si direbbe con Bachofen. Con questo presupposto probabilmente nel subconscio del futuro psicoanalista, “tanto più sorprendente è che la civiltà greca, su cui si fonda la vita europea,sia pura opera di uomini”. La donna entra nella storia greca tardi: “Pericle è il primo greco da cui ci è tramandata l’influenza della donna”, Aspasia. Che “segna la svolta nella storia dell’umanità”.
La donna emerge al tempo di Pericle, continua Groddeck, per influsso dell’Asia nelle guerre persiane - prima “persino le dee hanno tratti da uomo”. E per effetto delle “terribili guerre civili”, del “calo del numero dei cittadini”. È così che “un modo di giudicare sentimentale subentra alla visione del mondo dura, senz’anima”. Euripide subentra a Eschilo, a Sofocle. E viene Prassitele, con “la malinconica bellezza delle donne”. Mentre nasce, sempre “sotto l’influsso femminile”, il genere del romanzo. Un cambiamento radicale e rapido, al punto che “già Aristofane si vede indotto a scrivere satire sull’emancipazione delle donne”. Si spiana così “la strada per il cristianesimo, la religione dei poveri e degli oppressi, la religione femminile” – “religione nata da una stirpe femminile dell’Asia”.

Lussuria – Peccato desueto, era quello centrale fino a qualche anno fa. “A me pare laudabile, perché noi imitiamo la natura, che è varia”, scriveva Machiavelli della lussuria, dopo una notte con una ninfa, all’amico Vettori. Con le perplessità di rito: “Chi vedesse le nostre lettere, honorando compare, et vedesse le diversità di quelle (le lettere pubbliche, tutte politiche, n.d.C.)... gli parrebbe quelli noi medesimi essere leggieri, incostanti, lascivi, vòlti a cose vane”. Il compare gli aveva scritto risoluto: “Questo mondo non è altro che amore o, per dir più chiaro, foia, né so chosa che dilecti di più, a pen-sarvi e a farlo, che il fottere. E filosofi ogni uomo quanto e’ vuole, che questa è la pura verità”. Dante nel suo catalogo dice la lussuria peccato minore, il più lieve fra quelli d’incontinenza, e anzi l’avvicina all’alto Amore – i peccati erano recenti, la confessione obbligatoria è del 1216.

Marx – Fra i tanti studi che ne hanno proposto e ne propongono un revival per il bicentenario, l’anno scorso, della nascita, ricorrendo al “resto di Marx”, oltre il Diamat o materialismo dialettico, manca una sul gusto della scrittura, su Marx letterato. Che pure sarebbe proficuo. Era superbo, più di qualsiasi altro scrittore. E ironico. Instancabile: per un Witz avrebbe dato “Il Capitale”. In tutti i rapporti, anche familiari, il criterio della verità diventa per lui distacco critico: io e gli altri. È la forma più esasperata di egotismo, limitare alla misantropia, il fastidio dell’umana imperfezione.

L’ironia è il suo lato simpatico, oltre che una grande dote conoscitiva, socratica. Ma è il virus che ne mina la dottrina. Il cristiano si riscatta al confessionale, per quanto ipocrita possa la confessione cristiana essere, il comunista non può pentirsi mai. Pena l’ipocrisia, che è malvagia. Inoltre, ironizzare porta all’insensibilità, non a più conoscenza. Nabokov lo vede in aspetto di “traballante e bisbetico borghese in calzoni a quadretti di epoca vittoriana”, il cui “cupo «Capitale» è figlio dell’insonnia e dell’emicrania”. Ma ne condivide il sarcasmo, con punte snob perfino più acute, anche se non sembra possibile. Come l’altro monopolista Freud, che molta buona psicologia ha oscurato, Marx ha per questo vezzo cassato molto socialismo, alle sue radici: la compassione.

Pci – “Papà era amico di Mario Alicata, spiega Antonio Debenedetti del padre Giacomo, l’illustre critico, a Gnoli sul “Robinson” di “la Repubblica”. Giacomo Debenedetti ebbe un rapporto conflittuale col partito Comunista, che gli negò la cattedra –solo incarichi, lontano da Roma. Ma collaborava a “l’Unità”, organo del Pci. Da cui fu allontanato. Poi si decise di farlo tornare a collaborare, ma, continua Antonio, “l’intenzione di far tornare  Debenedetti a collaborare u bloccata proprio da Alicata”.

Rachilde – Non se ne parla perché il femminismo radicalizza (ridicolizza), come il proprio delle avanguardie, che vanno subito “in fondo” alla novità, nella inversione dei sessi – il maschio che fa la femmina, la femmina che fa il maschio, e situazioni intermedie varie? Ma fonda nei suoi romanzi il Lgbtqi, un cocktail sessuale che finisce nell’indistinto. Sessualmente, Rachilde si compiace del pruriginoso (beh, il pruriginoso di Fine Secolo – fine Ottocento) - ma anche funzionalmente e psicologicamente. Facendo probabile aggio su una situazione di vita vissuta, la sua, della donna dominante nella coppia con La Valette, editori e scrittori.

Saba – “Capace di punte di affetto inarrivabile”, così Antonio Debenedetti nell’intervista con Gnoli  descrive Umberto Saba, il poeta mite, ospite “per vari periodi” in casa del padre, ma “imprevedibile” e “invadente”: “Morfinomane, omosessuale, capriccioso”. E collerico : “Una sera a cena, oltre a mio padre, Saba e me c’erano Bobi Bzlen e Galvano Della Volpe. Improvvisamente Saba cominciò a gridare e inveire contro papà e Bazlen. Si alzò da tavola e agitando il bastone urlò: «Maledetti junghiani!»”. Il motivo dell’escandescenza, appurò Galvano della Volpe alzatosi per rabbonirlo, era qualche problema di psicoanalisi. 

letterautore@antiit.eu

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