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giovedì 7 marzo 2019

Secondi pensieri (379)

zeulig


Amore – L’amore, secondo Spinoza, “non facciamo alcuno sforzo per liberarcene”. Perché, “primo, è impossibile, secondo, è necessario che non ce ne liberiamo”. Ma c’è chi volentieri ci rinuncia.
E insomma, si direbbe oggi, “mi confondo col mappamondo\ della bussola non so che far”, se il doppio senso è inappropriato, quello letterale sì, del Rossini matrimoniale. È il guaio dell’emancipazione, capita di scambiare l’innamoramento per prostituzione, e la stronzaggine per passione. Per il riserbo, cioè, il cane da guardia dell’emancipazione: si bandisce l’amore per non essere romantici. Succede all’uomo con la donna, per antiche incrostazioni, e ora alle donne con gli uomini, malgrado la fresca liberazione – che poi tanto fresca non è, l’estasi viene alle sante in forma di solide tette già nel Seicento italiano, senza ombra di uomo in giro. E si diventa sospettosi con le regine, sentimentali con le squinzie. Il sesso per sé, per la durata e l’intensità dell’orgasmo, non porta in nessun posto, se non a gioiosi intervalli, come bersi un’aranciata. Non all’amore, all’avventura, alla creazione, all’illusione della creazione. Il corpo ha certo unanima. Estetica per i greci, magica per i primitivi, spirituale e filosofica per i mistici, ora, pare, psicologica. Ma, secolarizzato, vibra meno d’una partita  di calcio, e non elimina le tossine. Certo, non richiede coraggio.

Capitale - “Una Borsa forte non può essere un club di ‘cultura etica’e i capitali delle grandi banche non sono ‘istituzioni di beneficenza’ più di quanto lo sono i fucili e i cannoni. Per una politica economica nazionale che persegue scopi ben di questo mondo, non possono essere che una sola cosa: dei mezzi di potenza impegnati in questo combattimento economico”. La difesa più strenua è di Max Weber, nel secondo dei saggi su “La Borsa” scritti per una rivista socialista, la “Gōttinger Arbeiterbibliothek” - questo nel 1896. Se il capitale si dà finalità “etica”, ci riesce meglio. Ma il fine principale è la potenza: “Finché le nazioni perseguono la lotta economica inesorabile e ineluttabile per la loro esistenza nazionale e la potenza economica, anche se può darsi che vivano in pace sul terreno militare, la realizzazione di esigenze puramente teorico-morali resterà strettamente limitata se ci si rende conto che anche sul terreno economico è impossibile procedere a un disarmo unilaterale”.

Francia-Germania – Si moltiplicano i patti perché l’armonia stenta? È possibile. Ma non c’è migliore acquirente della Germania della Francia. Più elaborato, più assiduo, più cedevole: ne rifiuta ogni aspetto, in atteggiamento ostile e in armi, ma ne adotta ogni sospiro. In affari come in filosofia. A partire dalle parole composte, che ubriacano Derrida e Foucault – un po’ anche Barthes. Di Foucault l’a-voir, il pou-voir, il potere di vedere - il pidocchio? il polso? – rasenta il sublime: la scoperta della semantica è affascinante, l’a privativo col con con, coglione. Non c’è centimetro quadrato di Germania di cui i francesi non s’approprino, le etimologie, la morfologia, la fonetica, le genealogie dei ciabattini, parroci, maestri, alchimisti tedeschi, dei vaghi esoteristi in cerca del diavolo, effetto esilarante della scoperta della comune origine teutone prima che celtica, della testa quadra. Ma di più si potrebbe produrre in italiano per la strepitosa inclusione che esso fa del sesso nel possesso - Foucault questa se l’è persa. Non il solito gio-co con Giovanna, che poi non è divertente, ma un filone di studi poderoso e anzi una cultura, ramificata in scuole, centri, accademie, seminari e opere, scientifiche, storiche, romanzate, con coda di film, un Umschlag vero, il rovesciamento dal basso della filosofia franca e le sue guide teutoniche Freud, Heidegger, Wittgenstein, e la conferma di Marx, effetto non deprecabile. Opera rivoluzionaria per la migliore Italia, ammesso che afferri la duplice accoppiata sesso-possesso, la sedizione che essa condensa, su cui costruire imbattibile primato. 
Si divaga se attorno si ergono mura levigate, ma non è male, l’arte militare consiglia di prendere tempo.

Il Reno unisce ma divide. Oppure il Reno divide ma unisce. Il fatto varia con le circostanze. Curiosamente sancito da Lucien Febvre, uno storico, filosoficamente: “una identità che si afferma per opposizione” – Febvre riflette sul Reno per un libro intero. Che potrebbe non voler dire nulla, e allora Febvre precisa: “Vi è un Reno, nella sua totalità, se il problema è quello di unire; ma vi sono molti e diversi Reni, se bisogna chiudersi in sé o bisogna combattersi”. Da qui la “divisione”: “Diversi Reni che talora unificano e talora dividono. Che cosa? Due mondi”. Dividono e unificano Francia e Germania naturalmente, ma non solo. Un mondo è “l’estrema propaggine dell’Europa occidentale”, che ricomprende la Francia. L’altro è “quella massa illimitata dell’Europa di mezzo, saldamente legata alle terre massicce dell’Europa orientale, e per quel tramite alle vaghe immensità dello spazio asiatico”. Ma conviene bizzarramente – il saggio è dei primi anni di Hitler, che per prima cosa aveva cominciato a fare i conti con l’occupazione francese della Renania, a garanzia del pagamento dei danni di guerra – che il Reno può dirsi “tutto tedesco nella misura in cui, esattamente, la Germania ha amato definirsi il «divenire», in cerca di orizzonti mutevoli, piuttosto che l’«essere», rinserrato nella chiara consapevolezza di sé”. Bizzarramente elogiativo di una Germania chiusa.  

Traduzione – “La traduzione reale è impossibile”, sosteneva una antica traduttrice del cant che legava i beatnik - una lingua falsa nella falsa comunicazione Usa, quindi vera. E: “Non si può tradurre la droga”, l’addiction.
A maggio ragione ora che tutto è addiction, droga: politica, amori, religione, famiglia, lavoro, internet, e non si è entusiasti ma addict?

Tribù – È storia vecchia, l’identità, il sovranismo. Il romanzo storico è solo possibile in Italia per dire male degli spagnoli. Come quando a Varsavia le puttane sono ungheresi, o ceche, e in inglese la cattiveria è olandese, la slealtà, l’avidità: la tribù ha sempre bisogno di spurgarsi.
Ma forse è più complicato. La dottrina dei primati non è scema. Ma bisognerebbe fare una storia anche della nazionalità dei brutti, sporchi e cattivi.


zeulig@antiit.eu

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