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giovedì 25 luglio 2019

L’America vittima del sospetto

“Trump non è stato discolpato dagli atti che potrebbe aver commesso”. La solita sentenza alla Ponzio Pilato, quella del giudice speciale americano Mueller sul Russiagate. Condita dall’allusione  - la doppia negazione “non può non” - che è la cifra della giustizia politica, cioè di parte.
Ma Mueller non è nemmeno un accusatore di Trump. È solo un pavido, che per venti o trenta volte nella sua audizione parlamentare risponde con un monosillabo, e rimanda al Rapporto scritto – la sentenza – a fine indagine. È stato convocato alla Camera dei Rappresentanti a maggioranza anti-Trump, in due Commissioni diverse, sei ore di fila di testimonianza, a settantacinque anni, con centinaia di questionanti, interrogatorio che non si fa con nessun testimone, sarebbe tortura, e non ha saputo protestare. Sapeva dell’uso politico che della sua testimonianza si voleva fare, di programma, e non si è sottratto.   
Un incapace? Può darsi. Ma Mueller non è un funzionario alla periferia dell’impero, che soprattutto non vuole essere disturbato. È stato a lungo il capo dell’Fbi, una polizia onnipotente. Ha accettato la nomina  se non la ha cercata, a Procuatore Speciale. E ha indagato sul Russiagate per due anni e mezzo, con poteri speciali, e tutte le polizie giudiziarie americane a disposizione. Ma il potere dell’opinione è in America dominante. E la sola giustizia mediatica è - si ritiene - quella del sospetto.

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