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venerdì 12 luglio 2019

Porte aperte

È giovedì, il giorno che il ministro Treu ha decretato dei ministeri aperti per i cittadini. Di prima mattina la giornata ha la frescura che promette di scacciare l’afa. E l’ingresso del ministero a via Pagano è pulito e sgombro, pronto per le visite. I pochi che entrano salgono al quarto piano. Dove si trova l’ufficio per i rapporti con i cittadini. Tenuto da due funzionari che sono già al loro posto, nella stessa stanza ampia, a due grandi scrivanie ordinate, senza i soliti ingombri di scartoffie, vuote.
L’orario di apertura è dalle nove, e bisogna attendere. Si attende in piedi, leggendo le bacheche, scambiando sorrisi con gli altri visitatori che invece vanno, tutti con una valigetta rigida, per le loro pratiche negli altri uffici al piano, non soggetti a orario se non quello di lavoro, il corridoio trasformando in open space ben ambrosioano, d’accenti e operosità. Alle nove in punto i due funzionari ascoltano la richiesta e, senza consultarsi, all’unisono chiedono: “Lei è sindacalista? Un dipendente non può avere il documento. La dichiarazione dello stato di crisi è pubblica, ma possono averne copia i rappresentanti dell’azienda e i sindacalisti”.
I due, sempre all’unisono, non oppongono però resistenza: “Quali sindacalisti? Anche uno confederale, sì”. Renato della Cgil, che si occupa della stampa, sicuramente si presterà. Ma non risponde. Sarà presto, conviene ritentare, aspettando nel corridoio vuoto. Solo animato dai primi visitatori che escono dalle stanze, sorridenti, e scambiano saluti, mentre altri subentrano, a incastro perfetto, tutti simili, con la ventiquattrore.
Quando il compagno Renato non risponde alla seconda o terza chiamata, l’idea viene di chiedere in segreteria. Renato c’è, ma è in riunione. Fino a quando la segretaria non sa: “Non sarà breve. Chiama fra un’ora. Fra mezzora, se vuoi”. Insomma, è più che altro una sensazione sgradevole, come quando in mare un cirro lontano porta burrasca. L’idea di recuperare qualcuno della rappresentanza sindacale aziendale contribuisce anch’essa al nervosismo: sono tutti aziendalisti. Uno di quelli che entrano ed escono con la valigetta fa la sua parte, un rosso, che la butta in braccio al suo compagno e urla sarcastico: “È leggerina, neh!”, cercando con l’occhio complicità alla sua involuta insinuazione.
I due funzionari dell’ufficio rapporti con i cittadini stanno sempre ai loro posti, corretti. Sulle loro teste due ritratti danno dignità alla funzione: da una parte il presidente, col suo piglio monacale, dall’altra il presidente del consiglio Prodi, che per distrazione, e per l’apprensione crescente, rimanda per un attimo al cantante Drupi, del resto suo anagramma, senza naturalmente la capigliatura cavallina. Un tentativo di fare conversazione per ingannare l’attesa, essendo l’unico visitatore, cade: i funzionari rimangono composti, con gli occhi bassi. La decisione di porre urgenza sulla segreteria alla Cgil infine s’impone e riesce, Renato viene al telefono. È rassicurante, ci penserà lui, “ma non subito, in tarda mattinata”. Consiglia di aspettare al ministero: “Appena ho un minuto scappo: da qui sono due minuti”. E insomma, la cosa si risolve. Se non che, fra una cosa e l’altra, sono già le undici, e la targhetta alla porta dell’ufficio rapporti con i cittadini è precisa: l’orario è fino alle 12,30.
Lo scoramento rigurgita. Ma alla richiesta alla romana di conferma dell’orario, “allora c’è tempo solo fino alle 12,30?”, uno dei due precisa: “L’orario di lavoro è fino alle 14, fino alle 12,30 quello di sportello”. Il rovello allora insorge di cercare una via d’uscita nella segreteria del buon ministro, che in fondo è un compagno pure lui, seppure del partito di Prodi, e ha un addetto stampa amico. Una raccomandazione? Non proprio. Che comunque non si può fare. L’addetto stampa non c’è, ma il suo vice è sollecito, un funzionario del ministero: “Telefonare è inutile, hanno deciso che può avere le carte solo chi può dimostrare un interesse diretto. Chi può dimostrarlo legalmente. Hanno fatto una causa per questo, una vertenza di lavoro, il sindacato li ha assistiti. No, vogliono soltanto l’autorizzazione allo straordinario di sportello fino alle 14. C’è un’indennità di sportello, sa?” E ha disposto l’autorizzazione allo straordinario.
L’ultima attesa è stata nervosa. I due funzionari erano sempre al loro posto, ma dopo le 12,30 ogni minuto si è fatto contare. È passata così l’una. Un’altra chiamata, dal corridoio ormai deserto, non ha avuto esito: Renato non ha risposto, né la segreteria. Finché alle 13,25 Renato è uscito dall’ascensore. Gioviale come sempre, un po’ affannato, “ci ammazziamo di riunioni”. La sua vista ha infine animato i due funzionari che immobili aspettavano. Non gli hanno neanche chiesto un’identificazione. Hanno compulsato l’indice degli stati di crisi e hanno individuato il numero e il giorno della “Gazzetta Ufficiale” che ne ha dato pubblicazione. Uno dei due ha poi reperito in una stanza a fianco la “Gazzetta”. L’altro ha fatto la fotocopia. Ha acceso la macchina delle fotocopie. Che ha imposto un’altra attesa di una decina di minuti, forse meno ma sembrano tanti, seppure con la certezza infine che il documento è ottenuto. Che era sulla “Gazzetta Ufficiale”, in fondo queste porte aperte sono state una punizione, giusta.
Sono poche righe di testo, su una facciata. Il decreto effettivamente dichiara la casa editrice in stato di crisi per ramo d’azienda. Una licenza mascherata di licenziamento: riconoscendo il governo lo stato di crisi, la gloriosa casa editrice ha potuto licenziare mille poligrafici e cento giornalisti. Un modo come un altro di aggirare l’articolo 18, basta non dirlo.
È un decreto di due articoli, e non sembra contestabile. Renato concorda: “Li fanno bene, sono studiati da grandi giuristi”. Né d’altra parte c’erano illusioni da coltivare. Solo che, essendo disoccupati, uno a il problema la mattina di trovarsi un’occupazione del tempo.

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