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giovedì 13 agosto 2020

Il miglior Dio è dell’ateismo

L’ateismo come la religione delle religioni, la religione suprema, il meglio della religiosità. Una tesi assurda, ma il filosofo dell’assurdo prima della filosofia dell’assurdo non manca di argomenti,  naturalmente.
Nulla di scandaloso. È argomento non nuovo che le chiese (il sacerdozio, le confessioni, le teologie, i testi sacri) oscurino Dio. Rensi lo sostiene  lo sostiene nel quadro suo specifico di una morale anti-utilitaristica. Nel quale la religione si può apprezzare in quanto espressione della “follia” erasmiana, senza conto del dare ed avere. Con argomentazioni piane, discorsive. 
“Lucido e corrosivo” lo vuole Nicola Emery aprendo la presentazione (“Terapia dell’ateismo”). Ed è anche vero che Rensi, su cui Sciascia sosteneva di essersi formato, il punto di riferimento tra le due guerre (non Croce, non Gentile?), è il filosofo italiano più in stampa – più in domanda? – con una dozzina di libri ripubblicati nell’ultimo paio di decenni.
Una riflessione già scritta, forse nello stesso 1923 quando Gentile decretava il cattolicesimo religione di Stato, ma pubblicata a ridosso dell’asserzione di Mussolini che “il fascismo non è ateo, è un esercito di credenti”. Rensi la volle pubblicata, insistendo per questo con l’editore Formìggini perplesso, nella collana “Apologia delle religioni”. L’ateismo sostenendo una forma religiosa, anzi “la più alta e pura di tutte le religioni”.
Anche Freud qualche anno dopo, 1927, ricorda Emery, partendo anche lui da Schopenhauer,  nell’“Avvenire di un’illusione” elabora, sì, la genesi psichica delle credenze religiose, ma le definisce “illusioni”, per un bisogno di “appagamento del desiderio” anche fuori dal “rapporto con la realtà”.
Giuseppe Rensi, Apologia dell’ateismo,  Castelvecchi, remainders, pp. 128 € 6                                                                                   

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