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giovedì 24 settembre 2020

La felicità in Sicilia nella povertà

Un bambino abbandonato, “magro e sfilato come uno stecchino”, donde il soprannome, cresce ingegnoso e felice nella ricca masseria dove è stato preso a guardiano dei tacchini. Inventivo, pratico, in pace col mondo, costruendosi il futuro – fino al salto nella vita propria, nella vita tumultuosa dei treni e delle navi, coscritto bersagliere.
Un  racconto di formazione felice, che si fa leggere. Lungo ma con penna lieve, semplice, scorrevole, Per “un’eco, sia pure affievolita”, si poponeva Capuana dedicando il racconto a Michele La Spina, pittore siciliano operante a Roma, “della mite poesia di Teocrito non spenta ancora nelle nostre campagne siciliane – Bonaviri fa di Teofrasto, nell’introduzione, addirittura un “poeta siculo ellenico”… Gratuito come è ogni racconto, ma senza una parola di troppo.
La fotografia di un Faunetto abbozzato da La Spina, “non finito e polveroso” nello studio del pittore a via Margutta, ha ispirato via via il racconto – Capuana era un fanatico della fotografia. Ma è un ritorno a casa in realtà. Il tormentato Capuana ambienta la storia sotto la natìa Minéo, nella “vallata chiusa della montuosa catena dell’Arcùra”, spiega Bonaviri nell’introduzione, dove ancora oggi s’incontra rudere la grande masseria di famiglia, che aveva visto lo scrittore nascere e crescere. Minèo la nota editoriale dice “Parnaso siciliano” – “a Minèo i poeti a cento a cento”. Un’altra Sicilia, un altro mondo. Certo più gradevole, ma forse anche più vero di questo, ora deprecato  - e, se non altro per questo, deprecabile.
Luigi Capuana, Scurpiddu, Bur, remainders, pp. 171 € 4




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