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lunedì 11 gennaio 2021

Per un razzismo africano, antirazzista

Saggio del 1948, scritto come introduzione alla “Antologia della nuova poesia negra e malgascia”, del grande poeta senegalese Léopold Sédar Senghor, oggi dimenticato, Nobel 1968 – che ci lavorò col suo vecchio compagno di liceo Georges Pompidou, il banchiere futuro primo ministro di Francia. Sartre vi erige un fondamento solido, con argomentazione vivace e ancora significativa, alla richiesta di pari dignità delle allora colonie africane. Un contributo importante al movimento di liberazione, che si avrà a pochi anni di distanza, di contrasto alle buone ragioni dell’imperialismo.
“Una lettura poetica della negritudine”, dice l’editore. No, questa è l’opera di Senghor, e dei tanti intellettuali franco-africani del dopoguerra raccolti intorno alla rivista-editrice parigina Présence Africaine. La proposta di una forma artistica, espressiva e comunicativa diversa da quella europea d’acquisto: di fisicità, danza, musica, canto, naturalismo, e memorialistica e comunitaria (tribale), invece che annalistica, autoriale, archivistica.
Questa “diversità” non ha dato buoni esiti, il mezzo secolo di indipendenze ha visto la condizione sociale e morale dell’Africa deteriorarsi invece di migliorare. Ma ha penetrato le (cattive) coscienze in Europa, e ha contribuito alla fine in pochi anni del colonialismo.
No, Sartre teorizza un razzismo antirazzista: la liceità del rifiuto della cultura europea, “bianca”, senza se e senza ma, e senza un motivo preciso. Se la cultura è veicolo di dipendenza, allora bisogna fare da sé. Una sorta di dialettica introducendo nel rapporto politico euro-africano, che servì a indebolire l’eurocentrismo. Nel nodo culturale del rapporto politico, di dipendenza.
Jean-Paul Sartre,
Orfeo nero, Marinotti, pp. 100 € 10

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