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domenica 4 febbraio 2024

Ombre - 795

Il “Controluce” di Graziani sul “Sole 24 Ore” mette a confronto la settimana di bilanci e previsioni delle banche italiane (oggi Unicredit, domani Intesa, etc.), che si annuncia tutta positiva, con i flop nelle attese, e in Borsa, di altre grandi banche europee i giorni scorsi – la francese Bnp, specialmente, e l’olandese Ing. Le banche che sono state osteggiate, con durezza, a Bruxelles dalla direzione Concorrenza, della (non) inflessibile Vestager, e a Francoforte dalla Vigilanza Bce. E non si sa il perché.
 
Due colonne di contumelie di Leonetta Bentivoglio, solitamente garbata, su “le Repubblica”, contro Beatrice Venezi sul podio di un’orchestra sinfonica. Perché contestata, sullo stesso giornale, “dagli orchestrali” della Filarmonica di Palermo. Senza mai essere andata a vederla - cita stroncature altrui. Rimproverandole di non essere Karajan, e nemmeno Thielemann – né di aver mai diretto a Bayreuth (in quanto di destra?). Fondamentale, per Bentivoglio, la stroncatura di Piersanti, il musicista di “Montalbano”, Nanni Moretti e Gianni Amelio. L’odio è un sistema di echi.
 
Né Bentivoglio né “la Repubblica” ricordano – giornalismo elementare – che Venezi è stata contestata da tre orchestrali – anzi d a uno, un flautista, a nome di altri due. Che le “prime parti” si sono dissociate dai tre. E così il presidente della Fondazione e il direttore artistico del Politeama – che non sono di destra . E che l’orchestra aveva appena “defenestrato” il direttore artistico Gianna Fratta – la moglie di Piero Pelù, anche lei pianista e direttore come Venezi – e il sovrintendente Di Mauro.
 
“Aspettando il Giubileo i cantieri aperti sono seimilasettecento”. Dovrebbe essere una buona notizia e invece accascia. Seimilasettecento? Questi “eventi” sono una sagra della corruzione – si sa, si vede perfino. Diffusa, condivisa, e per questo non denunciata – nessun anonimo alla Procura della Repubblica.  Roma certo è fortunata, il giubileo non glielo ruba nessuno – poi ci sono le Expo, le Olimpiadi, i Mondiali, le occasioni sono infinite.
 
“Non conta il marchio, conta dove l’auto si fabbrica”. Scopre infine l’acqua calda il segretario della Cisl. Non si chiede però ancora come e perché l’Italia, che produceva tre milioni di automobili, ora non arrivi a 700 mila l’anno – e che le macchine “italiane” si facciano in Polonia o in Serbia. E perché fra tutte le fabbriche ex Fiat l’unica a pieno volume sia Pomigliano, dove i lavoratori sconfissero il referendum anti-fabbrica di Landini.
 
Quanti delitti, quando si farà la storia del sindacalismo italiano. Ci furono anni, gli anni 1970, in cui alla Fiat di Torino si faceva di tutto, cucina, vendita di abbigliamento, manicure, snack, si conversava, si fumava, e ogni tanto si fissava un bullone. Ci volle la marcia dei 40 mila per riportare la fabbrica al lavoro – lì, per la marcia, ci volle anche il grande statista Berlinguer, che incitava gli operai a prendersi la fabbrica, nel 1980.
 
La Spagna, negli stessi anni abbandonata dalla Fiat come mercato di terz’ordine, marciò spedita verso i tre milioni di auto l’anno, con grandi marchi come Ford e Volkswagen. Con un governo socialista.
 
L’Italia è ora il paese europeo che fabbrica meno auto. Come l’Inghilterra, che già negli anni 1960 Ford lamentava pubblicamente scelta d’investimento sbagliata, invece della Germania, tra pause pipì, pause snack, pause sigaretta, e conversazione. Un tempo non remoto ai box dei Gran Premi si parlava italiano, prevalentemente, e inglese.1
 
Stellantis è la vendita del gruppo Fiat da parte della Famiglia Agnelli, che non sapeva o non voleva più gestirlo. Con grossi dividendi. Ma non per i lavoratori, e nemmeno per gli azionisti, quelli che non hanno la residenza olandese, e quindi devono pagare cedolare doppia. Il gruppo non è simpatico – e non gliene frega.

Nessuno che ricordi, allo spettacolo in tribunale a Budapest della maestra milanese carcerata per violenza  le “traduzioni” analoghe a Milano di “Mani Pulite” con gli imputati che non “collaboravano” (non denunciavano altri), per esempio quella famosa di Renzo Carra, mite democristiano, neppure ladro. Farebbe rigaggio, e anche colore. O un qualsiasi processo americano, dove l’imputato è alla gogna, anche in tuta arancione, e i ferri sono pesanti e rumorosi. È un giornalismo di memoria cortissima, istantanea. O ci sono mostri solo a Budapest?

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