Cerca nel blog

domenica 24 giugno 2012

Il mondo com'è - 99

astofo

Fratello Hitler 2 – Una tesi vuole che Hitler non sia stato ucciso, malgrado una serie di attentati bene organizzati, per non dargli l’aureola del martire, ed evitare un nuova psicosi della “pugnalata alle spalle”, della Germania invincibile sconfitta solo perché tradita. Tesi storicamente arrischiata, ma politicamente non inconsistente.

I dirigenti e padroni ebrei di banche, quindici su ventuno grandi banche tedesche, e la banca Schröder di New York aiutarono Schacht a consolidare Hitler, confortati da Warburg e Wassermann, che erano sionisti e membri del consiglio della Reichsbank.

L’appeasement è un fatto politico di cui si sottovaluta storicamente la rilevanza. A Monaco nel 1938 la preoccupazione era di tenere fuori Stalin dal concerto europeo. «Giacobiti alla corte di Francia», traditori: così furono bollati a Londra quanti prospettavano a Chamberlain il rove-sciamento di Hitler. Dopo l’invasione della Cecoslovacchia Londra e Parigi lasciarono passare sei mesi prima d’inviare a Mosca una delegazione di funzionari, che provarono a perdersi per strada. Concordavano col genero di Mussolini, Ciano: la storia e l’ideologia volevano Mosca nemica di Berlino. Hitler ci mandò invece Ribbentrop, con l’aereo più veloce.
Furio Jesi censiva ne “La cultura di destra” oltre la metà di volontari stranieri nel 1944 tra i 940 mila effettivi delle Waffen SS, le SS combattenti.

Golpe – Quello classico-contemporaneo si può dire quello di Scalfaro contro Berlusconi nel 1994. Con l’avviso di garanzia fatto abborracciare in fretta a Borrelli alla Procura di Milano, e fatto comunicare all’allora presidente del consiglio, alla vigilia del vertice Onu di Napoli sulla criminalità, tramite Paolo Mieli e il “Corriere della sera”. Il golpe contemporaneo si fa in dolce, soprattutto con la disinformazione, sotto forma di controinformazione, e in tempi sgranati. Come se fosse un’evoluzione politica e non un colpo di mano. Col consenso preventivo e compiacente degli apparati giudiziari e mediatici.
Il precedente - il fondamento - è il caso turco, del laicismo imposto a una nazione islamica in dolce, con mano ferma ma con poche forzature. Come se fosse un’evoluzione della democrazia. Semrpe attraverso il controllo della giustizia e dei media. Il discrimine si ha negli esiti della “primavera araba”: dove la reazione è stata violenta (Egitto di Mubarak, Libia, Siria), è finita male, dove è stata compiacente (Tunisia, forse l’Egitto dello Stato maggiore oggi), ha “sovvertito la sovversione”.

In affari è pratica corrente, e si vuole dichiarato. Bertrand Russell, nella “Storia delle idee del secolo XIX”, sceneggia alcuni tycoon americani poi diventati monopolisti che avevano cominciato menando letteralmente le mani, con squadracce e colpi bassi – specie di mafie scoperte. È il caso a Milano sempre del “Corriere della sera”, ora di Ferruccio de Bortoli, che, sempre in combutta con la Procura, ora nella persona di Bruti Liberati, inviano l’avviso di reato a Formigoni in anteprima. Questo avviso di reato, per quanto sempre a mezzo “Corriere della sera”, è di natura diversa da quello del 1994, affaristica. Si tratta di sovvertire la sanità lombarda, che paga le convenzioni più basse, in favore dell’azionista principale del giornale, Rotelli, e del loro patrono Bazoli – patrono di entrambi, il giornale e l’azionista. Eliminando gli ostacoli politici e i concorrenti: Formigoni e la Fondazione Maugeri vengono dopo la don Verzé, silurata attraverso Gotti Tedeschi.

Prussia – È molto spagnola, secondo Spengler. Gli spagnoli sarebbe stati anzi i migliori tedeschi, specie i gesuiti. Il prussiano come lo spagnolo “è soldato o prete”, attesta Spengler, al presente, nel 1919 in Prussianesimo. E: “Bismarck fu l’ultimo uomo di Stato di stile spagnolo… L’antico stile prussiano è affine all’antico stile spagnolo”. La materia non difetta, dai visigoti al gotico, e chissà quanti spagnoli la pensano allo stesso modo, che in Germania sono emigrati.

Riforme - Fumista idealista
Intervista il giornalista
Sapiente polemista
Il farmacista minimalista
E l’artista avanguardista
Che il monopolista moralista
Vogliono socialista
O anche il Monti rigorista

Sandro Viola – In morte di un amico si vorrebbero sempre dire cose belle, trattenuti poi dal pensiero che tanto è inutile. E invece in morte di Sandro è gratificante dirsi che l’intelligenza esiste, e l’onestà intellettuale. Anche se è necessario mascherarle di snobismo. Non sempre, perché a volte è necessario usare i propri buoni argomenti, non negare o camuffare la migliore capacità di giudizio, per formazione oltre che per dote naturale. È così che, benché legato a Scalfari dalla reverenza dei fratelli minori, Sandro recalcitrò anche con veemenza alla riduzione di “Repubblica” a bollettino democratico(cristiano), con l’incredibile reverenza a De Mita e Andreotti e ai loro epigoni.
Fu nel lavoro l’inviato speciale di politica internazionale più veridico del giornalismo italiano. Intanto, perché “parlava le lingue”. Poi perché sapeva interloquire con cancellerie e ambasciate: capiva. E perché leggeva. La politica internazionale si dice sempre un settore debole dei giornali, ma perché pochi parlano le lingue, quasi nessuno capisce il linguaggio diplomatico, nessuno legge.
Fece cadere tacendo le insinuazione del torbido affare Mitrokhin, che lo voleva spia dell’Urss: non amava giustamente le spie, anche sedicenti. “Il cardinale e il generale”, Glemp e Jaruszelski, 1982, la sintesi delle sue cronache del “golpe” polacco, si rilegge come un capolavoro. Benché susciti tuttora scandalo, a quasi un quarto di secolo della caduta del sovietismo, perché la realpolitik non deve esistere per le sacrestie – scandalizza le sacrestie laiche: non ammetteranno mai che il sovietismo è crollato sotto i colpi del papa polacco e della sua chiesa. Si avvicinò con umiltà al Terzo mondo, soprattutto al mondo arabo-islamico, chiedendo lumi e consiglio, e seppe valutarlo fuori dal romanticismo dei vecchi inviati, alla Igor Man o alla Bernardo Valli.

Spionaggio – È la parola più che il fatto – a parte i rari casi di trafugamento di calcoli e procedure per l’armamento nucleare (più immaginati peraltro che reali, con l’eccezione di Pontecorvo, che però si sopravvaluta come scienziato, mentre Oppenheimer fu probabilmente un doppio agente americano). Tipico il caso britannico, di tanti prim’attori che si accreditano spie: Graham Greene o Le Carrè, perfino Wittgenstein e forse Sraffa, e compresi i transfughi Philby, MacLean, Burgess e Blunt.
Sedate le polveri dell’affare Mitrokhin, c’è solo da ridere alle spie italiane che i russi censivano. Gozzano e Lizzadri all’“Avanti!” non erano in grado di rivelare alcunché. E i giornalisti che frequentavano cancellerie e ambasciate, come appunto Sandro Viola, avevano in spregio lo spionaggio.
Per esperienza diretta, avendo lavorato all’ufficio stampa dell’Eni in anni delicati, dal 1968 al 1975, i corrispondenti sovietici della Tass, che si sapevano essere tutti colonnelli in borghese, non lo nascondevano: erano impacciati, non cercavano confidenze, se invitati avevano cura più che altro di non bere, e non potevano a loro volta convitare mai nessuno. Avevano anche vincoli di polizia a spostarsi da Roma, per una manifestazione a Venezia o a Taormina. Diverso il caso dei cinesi, quando fu possibile “scoprire” la Cina nel 1973 grazie a Kissinger: sia all’ambasciata che alla Shinuà si chiacchierava e si beveva incontinenti. Il compagno Wang Yen-Lin, il primo corrispondente della Shinuà a Roma, era ubiquo in tutta Italia, per convegni e incontri occasionali, tifava Fanfani contro il Pci, e Strauss contro l’eurocomunismo, fumando come un turco, aveva il portafoglio pieno, e impose coi suoi inviti a cena un facsimile di vera cucina cinese, ai primi connazionali – allora Roma non era multietnica – che smerciavano surgelati al microonde.

astolfo@antiit.eu

Nessun commento: