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domenica 17 giugno 2012

Quella brutta Grecia che è tutti noi

Vincerà la Germania – “non c’è partita”, come suole dirsi. Vincerà con merito, perché è una delle squadre che gioca meglio – veloce, non supponente. Ma le simpatie in questo Germania-Grecia, una sorta di Europeo del destino, vanno sicuramente alla Grecia, un po’ ovunque in mezza Europa, compresa qualche scheggia del blocco tedesco-scandinavo, nel calcio come nella partita politica, giacché la Grecia vuole restare anche nell’euro: Atene sarà ancora strapazzata da Berlino, ma sarà un altro Europeo, un’altra Europa. Sono troppi quelli che non ne possono più di “questa Germania”, che ha messo in ginocchio l’Europa con la sua solita pretesa di virtù – la storia delle catastrofi europee per mano della Germania è una storia di virtù (meriti, purezze, rivincite).
La Grecia – la squadra – è sgraziata, non ha classe, corre male, e tuttavia alimenterà fino a venerdì la segreta speranza che riesca in un altro miracolo, come contro la Russia. Non è solo la sindrome Davide contro Golia, la simpatia che suscita il debole contro il forte. È che il mondo non ne può più, di nuovo, di una certa Germania – forse, a questo punto, la sola Germania. “Bisogna tenere conto che in Germania l’economia è ancora un ramo della filosofia morale”, filosofeggia Monti. Non è vero, non è mai stato vero: in centocinquant’anni, poco meno, di storia tedesca, la Germania s’è mangiati quasi tutti i trattati sottoscritti, e ha il record, nella Storia Diplomatica o dei Trattati, di furbizie e tradimenti. La visione internazionale di questa Germania – della Germania, a questo punto? – è circoscritta ai confini. L’ignobile arbitro Eriksson, uno svedese, che nega alla Grecia un rigore evidente, per ammonire Karagunis, la punta ellenica, che si faceva il segno della croce, giusto per impedirgli di giocare contro la Germania, la dice tutta su questo mondo: non vuole primeggiare, vuole annientare.

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