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domenica 19 gennaio 2014

La felicità ritrovata nelle origini

Un apologo, della felicità passeggera e la speranza duratura. Un canto d’amore anche alla natura, alla sua natura, dell’autore, i luoghi dell’infanzia e l’adolescenza.
È più potente la scena della vicenda che vi si svolge: la vita dei ragazzi d’estate in un paese del crotonese, tra bagni al mare, passeggiate sui monti, la sera al pub, la notte alla disco, lunghe dormite e madri provvide. Tutti “liberati” – nel gergo della Seconda Repubblica si direbbe “normali”: la ragazza “germanese” come il ragazzo “locale”. In una storia contemporanea, anzi di cronaca: le cosche mafiose a Nord, a danno dei conterranei che al Nord sono riusciti a creare, lavorando duro, qualcosa.
È l’apologo del male che sempre attenta al bene. Reso però memorabile dalla lievità, e dalla novità dell’approccio (la normalità). Su questo filo conduttore esile una serie d’immagini restano durature: il rito del pane, così ricostituente, la cicala “paccia”, l’amicizia, l’inconsapevolezza giovanile.
È anche una storia dei buoni che vanno via, lasciando padroni i cattivi. Non è così, non è questa la divisione sociale. Anche se è vero che il Sud è soprattutto impoverito di umanità: di energie, idee, perseveranza. Abate, che è narratore  costante delle origini, qui si libera pure lui, con beneficio del lettore.. Recupera anche il dialetto, con parsimonia e in forme riconoscibili, per un possibile arricchimento lessicale. Recupera le origini – l’adolescenza, i luoghi, i rapporti umani – in chiave per una volta non folklorica: poiché non ci se ne può liberare, sembra dire, godiamocele (sembra poco, ma per molti è una violenza: il rifiuto – il rifiuto di sé – è invincibile)..
Carmine Abate, Il bacio del pane, Mondadori, pp. 175 € 12

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