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sabato 27 giugno 2015

La storia della Resistenza impossibile

“I vinti non dimenticano” presuppone un “si dimenticano, ma loro…”. A nessun effetto, ormai è stantia pure la loro storia. E tuttavia, riproposto al largo pubblico, Pansa si scopre per quello che è: uno storico. Buono o cattivo non importa, l’unico in materia.
Dice: ma Pansa non è uno storico. Certo, ma gli storici che fanno? Oltre a piangere Berlinguer (anche Moro, ma in quanto berlingueriano). Il revisionismo di Pansa è la storia. Che gli storici di professione non fanno – non fanno per la verità neppure altro, a parte santificare Berlinguer, ma a questa storia proprio non ci pensano. Avrebbero archivi vastissimi, hanno ancora testimoni, e niente, non ci sentono. Manca perfino una vera storia della Resistenza.
Pansa, in piccolo, ha pure quella. A margine delle ignominie seguite alla Liberazione: l’occupazione jugoslava di Trieste, Gorizia e Fiume, le stragi, di fascisti (almeno 20 mila), e non (ne conteggia 12.233 tra Piemonte, Lombardia, Liguri, Emilia-Romagna, più le faide in Toscana), gli stupri e le violenze sulle donne fasciste, la liquidazione sommaria e a tradimento dei capi partigiani bianchi e socialisti che “non marciavano”, la libertà di violenza e stupro degli Alleati, specie delle truppe francesi.
A p. 240 ne dà in breve i connotati. La diffusissima organizzazione del Comitati di Liberazione, anche nei piccoli centri, ma confidati a vecchi politici del primo dopoguerra. La funzione dei Comitati limitata alla testimonianza, mentre erano ineffettuali e inesistenti sul piano operativo. Notevole, anzi singolare, l’incapacità di catturare il milione e più di militari sbandati, con le armi, all’armistizio: non si volevano.  .
Giampaolo Pansa, I vinti non dimenticano, BUR, pp. 466 € 5,90 

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