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mercoledì 17 febbraio 2016

Tutti contro tutti, l’America al quadrato - per ridere

La parodia del filmaccio splatter. Ci sono anche un’impiccagione dal vivo, e uno squartamento a colpi d’ascia, oltre alle solite revolverate-deflagrazioni di teste e visceri: una overdose di immagini dette forti, molte peraltro ripetitive, nessuna memorabile. Forse i volti esagerati. Ma si annegano nel parlato, volutamente artefatto: elaborato, soprammesso.
Tarantino si moltiplica, fa la parodia della parodia, del Tarantino stesso prima maniera, splatter. E, volendo fare i cinefili,  di Sergio Leone naturalmente, la musica di Morricone aiutando. Della “Sporca dozzina” per l’ambientazione chiusa, cupa, notturna, tutti maschi - c’è una donna, ma è peggio: Jennifer Jason Leigh è solo una maschera di sangue rappreso, senza figura (fa senso rivederla lo stesso giorno, su Sky in “Washington Square” vent’anni fa, una che da sola regge l’immenso Henry James). Del giallo alla Christie, parlato-parlato. E soprattutto, dopo Tarantino, di “Ombre rosse”, per la claustralità – lì tutto si svolge dentro una diligenza, qui dentro una locanda, in un paesaggio ghiacciato. Con molto Godard, forse inconscio, il parlato-parlato sommandosi all’inquadratura fissa e al soggetto frontale. Geniale e faticoso.
Di Leone la parodia è di “C’era una volta l’America”, coi desperados - messicani, neri, mulatti, bianchi fottuti - invece delle borghesie urbane, drogate e mafiose. Ma non nostalgico, cattivo: un “sogno americano” di tutti contro tutti, come si legge nelle cronache, che tutti si sparano. Con una punta di razzismo. Lo stesso, sottile, di “Django unchained”, l’altro western di Tarantino un paio d’anni fa, il primo. Il film è diviso in episodi. L’ultimo, intitolato “Uomo nero, inferno bianco”, vede tutti morti, ma del nero, il mastermind della carneficina, non si può dire, non si vede spirare, né del suo succube bianco, un figlio di confederati spregiatore dei neri – una fine diversa solo per consentire un sequel?
La parodia o pastiche è genere per pochi. E anche i pochi, se insistita, li affatica. Al quadrato poi: la parodia della parodia, anche per i 167 minuti della versione digitale, venti in meno di quella in pellicola, come tutte le parodie stanca. Camuffata da grande produzione, dai produttori, i Weinstein, che hanno il genio della promozione, è un lungo, lento, teatro da camera, seppure da macelleria. Un esercizio di bravura, ma da infiacchire anche i tifosi del genere.
Quentin Tarantino, The hateful eight

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