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venerdì 19 luglio 2019

Ayatollah kamikaze

È come se gli iperpolitici ayatollah avessero scelto la via del “sacrificio”. Il blocco di Hormuz, che la Marina iraniana provoca da alcune settimane, con incendi, abbordaggi, e ora il sequestro della petroliera britannica, lo possono attuare agevolmente le marine angloaamericane. E danneggerà solo l’Iran, bloccandone le esportazioni. L’Arabia Saudita e gli emirati della penisola arabica hanno altri sbocchi.
Gli ayatollah agiscono anche nell’isolamento. Sono soli nella guerra nello Yemen contro l’Arabia Saudita. Mentre Putin, che ne ha favorito lo sviluppo nucleare, e ne è stato l’alleato decisivo in Siria contro l’Arabia Saudita, ha poi sviluppato varie intese nella penisola arabica, e ha interesse alla ripresa dei contatti con gli Stati Uniti – ha salvato l’Iran in Siria per riprendere un contatto con gli Stati Uniti – per il rinnovo degli accordi sul nucleare e per la rimozione delle sanzioni.
Gli ayatollah possono avere svilupapto gli attacchi nello Stretto per costringere Trump a un accordo, dopo la sua denuncia del trattato nucleare e l’inasprimento delle sanzioni. Puntando sulle remore del governo americano a un’azione militare con la campagna elettorale già aperta. Ma la rendono inevitabile. E gli angloamericani hanno la potenza, marittima e aerea, per fare molto male all’Iran, senza dover arrivare a invasioni disastrose come in Iraq o Afghanistan: un paese di grandi agglomerati urbani è facile obiettivo aereo, e comunque un paese di 90 milioni di abitanti non può reggere al blocco navale.

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