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sabato 27 novembre 2021

Il complotto eccolo qua - 2

L’Italia ha una storia lunga di complotti, a partire dall’Autunno Caldo del 1969, quindi da oltre mezzo secolo, dalla cosiddetta “strategia della tensione”. All’evidenza una strategia politica, di manovra e comunicazione. Con numerose, non fantasiose, applicazioni, si direbbe leggendo Astolfo, “La morte è giovane”, romanzo in via di pubblicazione – un racconto in forma di memoriale, di difesa e testimonianza (l’Ente di cui si parla è un grande gruppo presso il quale il narratore lavora, “il Pazzo” s’intende Gheddafi, Pietro è nome d’invenzione. Questi alcuni estratti – riferiti al 197i:
 
La cultura dell’Ente ne rifugge, per il complotto senza esito sulla morte del Fondatore. E per il vezzo terzomondista di segnalare golpe annunciati a ogni passo. Non che il Terzo mondo ne difetti, ma il golpe annunciato sa di classico, della disinformazione: “Ti butto un golpe tra i piedi”, si potrebbe dire. Per primi gli ateniesi dormivano “fuori la notte in armi”, narra Tucidide, quando uno spione s’inventò il golpe di Alcibiade. Liquidato il quale fallirono la conquista della Sicilia, che li avrebbe resi padroni del Mediterraneo, e di duemila anni di storia, e anzi persero la stessa Atene. E sempre c’è il sospetto dell’ignoranza consapevole, il metodo socratico della verità simulata, far credere che si sa pure ciò che s’ignora. È il vizio di chi, sapendo quello che non sa, pensa di doverlo denunciare come complotto, ciò che fa il piccolo borghese, nel fascismo e dopo, il soggetto politico contemporaneo, delle democrazie. Bacone per questo spregia la Fama, l’opinione pubblica: la natura del popolo essendo “malvagia e triste, e propensa alle novità”, i turbolenti se ne giovano con “pettegolezzi, malignità, denigrazioni, ricatti”, per muovere alla “femminea invidia verso coloro che governano” – il complotto è femmina per il barone di Verulamio, la ribellione maschio. Il popolo sospetta di tutto, la democrazia ateniese è una serie di complotti, democratica solo perché spesso sovvertita. Ma sempre ci vuole un giudice per un complotto.
“E se le cose occulte poi avvengono? Si veda negli Usa, dove sono teatro a scena aperta, e “Tania” s’incarna, ultima compagna del Che in Bolivia, per svaligiare banche. Rapita dai Simbionesi, tra un colpo e l’altro ci fa l’amore, scrivendolo ai suoi, gli editori Hearst. Dev’essere novità eccitante, per chi è stata virginea fidanzata d’America. Per quanto, se si dicono simbionesi devono sapere il greco. Congiura avrebbe più senso che complotto, filologico e storico, più onorevole. È anzi per alcuni la storia, Francesco Patrizi, o la rivoluzione. “Fra tutte le imprese degli uomini nessuna è grande come la Congiura”, scrive l’abate di Saint-Réal, lo stesso della Congiura degli Spagnoli contro Venezia, allievo dei gesuiti: “(Sono) questi i luoghi della storia più morali e istruttivi”. La retorica è politica, così com’è storia e giustizia, là dove modella la storia e la giustizia. E molta politica è retorica, un bel dire: Marx lo scoprì di Machiavelli, che riscriveva Sallustio, La congiura di Catilina, o Tacito, che rifece Sallustio. E dunque il complotto è progetto politico, non rivoluzionario:
“– Ingegnoso – ha detto Pietro dell’ingegner Francia. Chiunque può avvelenare l’acquedotto, è il complotto classico: è il ruolo che si dava agli ebrei nella preparazione dei pogrom, di avvelenatori dei pozzi. Di Gheddafi si danno i campi per terroristi, con liste dei partecipanti, nomi arabi incerti, in articoli anonimi. Che il Pazzo potrebbe scriversi da sé, è vanitoso, senza scomodare il Mossad. Roscioni individua nell’Esploratore Turco Paolo Marana un mitomane che prosperava nel Seicento inventando complotti. Il sospetto è un bisogno umano, non solo di preti e prefetti. Ma l’Imitazione di Cristo contesta la “magna cavillatio de occultis et obscuris rebus”. I complotti hanno il difetto, o pregio, che sono già successi. In 1984 è scritto pure il tempo che farà.
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“All’alba della Rivolta di Gennaio (1919), Rosa Luxemburg venne rapita, e assassinata, insieme con Liebknecht, dai Freikorp, i volontari della restaurazione (germanica), agli ordini del governo socialista. A Rosa si arrivò pedinando Wilhelm Pieck, futuro presidente della Repubblica Democratica: Pieck, preso con gli altri, fu rilasciato. Alcuni hanno perciò ipotizzato un tradimento, contro Rosa e Liebknecht, ordinato da Lenin e dal suo uomo in Germania, Radek. Non ci sono prove naturalmente, perciò l’ipotesi è non vera per gli storici. Ma è vera, il partito ha sempre tradito i comunisti. Spartacus, bisogna aggiungere, nel cui nome Rosa si ribellò era un “grosser General” per Marx, un bruto, “mica Garibaldi!” - che egli peraltro aveva in antipatia e motteggiava.
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 “In cambio del giudice Sossi le Br volevano liberi i compagni della XXII ottobre. Ce l’hanno fatta. I giudici compagni in assemblea hanno chiesto lo scambio. La Corte d’appello di Genova lo ha sancito, la “folle Genova scespiriana” di Dos Passos. C’è il problema di dove mandarli, Castro non li vuole. I brigatisti, rilasciato Sossi, in massa si sono fatti catturare. Dopo essere usciti, finalmente, sull’Espresso, intervistati con foto.
“Della Ventidue Ottobre\vogliamo i comunisti\e sono stati i primi\i primi brigatisti”, diceva l’inno dei sequestratori, deboluccio, che hanno fallito anche l’attacco al divorzio. Tutti compagni, anche se Antonio Massari è fascista professo e Augusto Viel è a Praga, dopo aver assassinato un postino - “ma era socialista”. Sossi aveva arrestato il vecchio partigiano Lazagna come terrorista, e voleva processare Fo e Franca Rame per l’assistenza in carcere agli otto della XXII Ottobre. Le Br non convincono L’Unità: “La loro prosa li rivela per quelli che sono: gente istruita in scuole nazionali o internazionali di anticomunismo”. Istruita sicuro, anche addestrata? A Praga? Giorgio Bocca spiega che le Brigate Rosse sono “una favola per bambini scemi”: secondo lui non esistono. La questione si complica col Prefetto, il quale nelle more del rapimento ha coronato l’ascesa di esperto gastronomo assurgendo all’Espresso, anche lui. In un’intervista ha spiegato al settimanale: “Le Br non sono più di quaranta persone, tutte genuinamente rivoluzionarie e non infiltrabili, il mio ufficio è perfettamente edotto della loro esistenza”. Perché quaranta e non cinquanta? Perché sono un decimo di quattrocento, numero fatidico. Guicciardini asserisce non potersi “tenere Stato secondo coscienza”. I servitori dello Stato dunque non  hanno coscienza. Ma si aspetta di vedere che ne sarà del Procuratore Capo a Genova Coco,  il superiore di Sossi. Coco ha detto che non eseguirà la decisione della Corte d’Assise”.
(continua)

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