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mercoledì 21 dicembre 2022

Letture - 506

letterautore

Antifascismo – Magris evoca Randolfo Pacciardi, un vita di antifascista finita con un fronte anticomunista, a proposito di una lettera della “bellissima amante di Hemingway”, Martha Gellhorn, di pubblicazione recente, che adombra un flirt o un’attrazione con lui. Fa il nome nell’occasione anche di Edgard Sogno, altro irriducibile antifascista finito anticomunista. Ma la storia della Repubblica non si riesce a fare – la facevano solo gli storici comunisti, quando c’era il Pci.
 
Pupi Avati
– Demitizza il cinema – o lo rimitizza? “Vidi 8 e mezzo di Fellini in un cinema del dopolavoro ferroviario nella Bologna degli anni Sessanta. Ero un giovane venditore della Findus: quel film mi cambiò la vita”.
 
Follia – Quella dei poeti – peraltro ricorrente, fino a Merini, a Incom - è l’intersezione tra sensibilità (rêverie) e immagini, Proust arguisce a proposito di Nerval – a chiusura del saggio su Flaubert: “Dal punto di vista della critica letteraria, non si può propriamente chiamare folle uno stato che lascia sussistere la percezione giusta, ben di più, che acuisce e indirizza il senso della scoperta dei rapporti più importanti tra le immagini, tra le idee. Questa follia non è quasi che il momento in cui le ineffabili fantasticherie di Gérard de Nerval divengono ineffabili. La sua follia è allora come il prolungamento della sua opera – e non viceversa”. Ma in alternanza cadenzata: “Ne evade presto per ricominciare a scrivere. E la follia culminante dall’opera precedente diviene punto di partenza, e materia stessa dell’opera che segue”.
 
Giovanni Giolitti – Filosofo? “Antonio Giolitti, nipote dello statista e filosofo Giovanni Giolitti”, lo dice il podcast della figlia Rosa sul “Corriere della sera”. Giovani Giolitti non lo era, non filosofo (si era laureato in Giurisprudenza, anche se a soli 19 anni). Ma, poi, cos’è filosofia?
 
Pasolini – È diventato icona conformista. Della sinistra politica, quello che ne resta, e anche della destra. Riflesso dell’epoca del “minoritarismo” (vittimismo) trionfante. “Un tic” può dirlo Buttafuoco, agli “stati generali” della “cultura di destra”: “Radio 3 ogni due secondi cita Pasolini come un tic”. Gli sarebbe piaciuto?
Oltre che religioso (v. sotto), Pasolini è anche santo, lo decreta il Maxxi di Roma in una mostra lunga sei mesi.
 
Nelle more delle celebrazioni per il centenario della nascita, si moltiplicano le ricostruzioni che ne fanno vittima di un complotto. Di avversari politici e\o trafugatori delle pizze originali del film “Salò”, che lo hanno attirato in un tranello col pretesto di discutere la restituzione delle “pizze” del film. Una ventina di libri sono stati scritti recentemente, sulla traccia dell’ipotesi originaria di Oriana Fallaci – ne fa l’elenco Paolo Di Stefano sul “Corriere della sera” domenica, “Delitto Pasolini. L’antimafia: Sì, c’entra Salò”. Quella di Fallaci, un’ipotesi e non una ricerca, è diventata una sorta di prova. L’Antimafia della passata legislatura è quella presieduta da Nicola Morra, il senatore 5 Stelle di Genova, eletto in Calabria, che non ha prodotto nulla. L’Antimafia fa Pasolini vittima della banda della Magliana. La quale si sarebbe impadronita delle “pizze” di “Salò”, in un empito di perbenismo, e avrebbe poi deciso di punirne l’autore, attirandolo in un tranello, con la scusa di negoziarne la restituzione. Solo che la banda della Magliana non era ancora nemmeno in mente Dei.
 
Pastiche - Di questa tecnica, di pezzi scritti nello stile di uno scrittore, tra ironia e devozione, Proust, che ne era ingordo praticante (se ne è potuto fare una densa raccolta, “Pastiches e mélanges”), celebra nel saggio su Flaubert (“A proposito dello «stile» di Flaubert”) “la virtù purgativa, esorcizzante”.
Un pastiche involontario è comunque l’effetto di una lettura seducente, sempre secondo Proust, nella stessa pagina – col rischio, per il lettore vorace, di vivere nel pastiche, nell’imitazione, seppure involontaria: “Quando si finisce un libro, non soltanto si vorrebbe continuare a vedere come  suoi personaggi, con Madame de Beauséant, con Frédéric Moreau, ma ancora la nostra voce interiore che è stata disciplinata per tutta la durata della lettura a seguire il ritmo di un Balzac, di un Flaubert, vorrebbe continuare a parlare come loro”. Bisogna “uscire” dal romanzo, dalla lettura: “Bisogna lasciarla fare un momento”, la nostra voce interiore, “lasciare il pedale prolungare il suono, cioè fare un pastiche volontario per potere dopo tornare originali, non fare tutta la propria vita del pastiche involontario”.
 
Proust – “Sodoma” e “Gomorra” vuole unificate – spiega nel saggio “A proposito di Baudelaire” – in senso spregiativo. Ricordando Vigny, che le voleva separate, mentre Baudelaire è per l’unità, Proust nel 1920 spiega di averle unificate, sottintendendo come passione, come sensualità - “nelle ultime parti della mia opera e non nel primo ‘Sodoma’ che è appena uscito” – confidandole a “una bestia, Charles Morel (è del resto alle bestie che questo ruolo è abitualmente confidato)” – a une brute.
 
Regista – È si sa l’italianizzazione del francese régisseur, in uso per il direttore del film, praticata d dal linguista Bruno Migliorini nell’ambito della campagna di italianizzazione delle parole straniere nei primi 1930. Direttore, come è l’uso ancora oggi in inglese, sarebbe stato termine più consono all’attività di regista - il cui ruolo nel termine originario, quello di tenere assieme tutta la baracca, era invece passato al produttore.
 
Rouen – Ha formato, spesso ispirato, Annie Ernaux, la premio Nobel. Era il rifugio di Ruskin, la città che preferiva, anche a Venezia e a Firenze. Lo ricorda Proust, di Ruskin traduttore e ammiratore, in uno dei tanti scritti che gli ha dedicato.
 
Jia Ruskaja – Il nome d’arte della famosa danzatrice russa, inventato da Anton Giulio Bragaglia, è frutto di un equivoco. Incontrando Elena Boberman Sciltian, la moglie russa del pittore armeno italianizzato Gregorio Sciltian, il 4 giugno 1921 alla Casa d’arte dei Bragaglia per una serata di “azioni mimiche e danze”, la giovanissima ballerina Evgenija Borisenko, diciottenne, appena trasferitasi in Italia, disse: “Anch’io son russa! I jà rússkaj”. Il suono piacque a Bragaglia, che ne fece un nome poi famoso – l’aneddoto è raccontato da Antonella D’Amelia, “La Russia oltreconfine”, 167.  
 
Jacques Tati – Dunque, si chiama Tatiscev, era russo. Non amava il russo, ma evidentemente aveva il mimo nel sangue.
 
Tolkien – È appropriato dalla destra politica (in Italia), ma non era uomo di destra. L’illustratore Ted Nasmith, che lo conobbe e lo frequentò da ragazzo, lo dice “un conservatore, un cattolico devoto, ma non in modo estremo”. Non è un fantoccio politico, la destra vi si è ispirata, cinquanta, sessant’anni fa, perché pregiava il fantasy, unica via d’uscita dal 
conformismo sociopolitico, dell’impegno.

letterautore@antiit.eu

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