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lunedì 10 giugno 2013

L’opera di Alemanno è di Muti

È difficile perdere come Alemanno. Non solo il Campidoglio ma tutti i quartieri, i venti o quindici  municipi, ex circoscrizioni, che amministrano la città. Alemanno ci è riuscito. E non fortuitamente, come gli era avvenuto di vincere cinque anni fa, perché allora tutti gli ex Pci si erano rifiutati di votare Rutelli. È difficile perdere con tale distacco, quale quello di Alemanno nei confronti di Marino, candidato peraltro improbabile. E soprattutto lasciando gli elettori a casa, vuoi perché freddi, vuoi perché i capobastone della destra hanno così consigliato per metterlo fuori gioco. A Roma ha votato un terzo degli aventi diritto, e quasi tutti per Marino.
Se Roma è la capitale dell’impolitica è forse proprio per questo sindaco, che sembra non avere capito nulla. Mai un’idea o una cosa fatta. Collaboratori incapaci, infedeli, corrotti, quasi tutti sotto processo. Un trasporto pubblico talmente mal gestito che è difficile pensarlo – da ultimo coi mille autisti che rimpolpano gli straordinari col cachet di scrutatori ai seggi, lasciando a terra i possibili elettori.
L’unica cosa di questi anni è la resurrezione dell’Opera. L’Opera lirica. Fa sensazione andare all’Opera e leggere: presidente Alemanno, vice-presidente Bruno Vespa. Ma ancora più sensazione è vedervi i migliori spettacoli di questi anni, e soprattutto un organico che era stato abituato per trent’anni a non lavorare, orchestra, coro, corpo di ballo, amministrativi, diventato all’improvviso solerte e efficiente. Se non che questo è l’esito della venuta a Roma di Muti, licenziato dal soviet della Scala, un apulo-milanese. E di Catello De Martino, il sovrintendente, che da nome si direbbe napoletano.

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