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domenica 13 ottobre 2013

Il sogno di un sogno, o Proust in nuce

Una novella a cui si fa risalire “Proust”. Si può leggerla come la leggeva Gautier, compagno di liceo  di Nerval al collegio Charlemagne, come un idillio bucolico, un racconto ingenuo, oppure come la leggeva Proust in “Contro Sainte-Beuve”, come la prova di uno scrittore “agli antipodi dei chiari e facili acquarelli”, e anzi impegnato a “cogliere, a chiarire certe sfumature ambigue, certe leggi profonde o certe impressioni pressoché inafferrabili dell’animo umano” – Sainte-Beuve l’aveva ridotto nelle sue divagazioni del lunedì a un paio di incisi: “l’amabile”, “l’amabile e gentile”, “il commesso viaggiatore di Parigi a Monaco” (di Baviera? Nerval era appassionato germanista, traduttore del “Faust” e di altro Goethe).
In particolare in questo racconto Proust celebra con Nerval il colore del mattino, un’ebbrezza, “il sogno di un sogno”: “Qualcosa d’indefinito e d’ossessionante come il ricordo. Un’atmosfera. L’atmosfera buastra e purpurea di «Sylvie»”. O ancora, col caratteristico insistito puntigio: “Il colore di «Sylvie» è un color porpora, di un rosa porpora di velluto purpureo o violaceo, agli antipodi dei toni di acquerello della «Francia moderata»”. Trovandoci “quella misteriose leggi del pensiero che ho spesso desiderato di esprimere…. – potrei elencarne, credo, cinque o sei”.  Una traccia che ha portato a trovare in nuce in questo racconto la “Ricerca”.
Gi addendi non difettano: l’invenzione della lunga durata, della memoria accidentale – un odore, un sapore, una brezza - e la soggettiva arbitraria senza infingimenti. Anche l’estrema acculturazione, di cui Nerval dà i riferimenti, seppure per chi già sa: la memoria è ai riferimenti più che alle persone e agli avvenimenti, classici, esotici, esoterici, genealogici, veri o inventati (lo storione familiare è già qui, quindi c’è in Nerval anche molto Freud), mitici, storici. Compresa molta Italia, l’altra passione di Nerval dopo la Germania – qui ci sono Dante, Petrarca, Francesco Colonna (“Il sogno di Polifilo” è in Nerval ricorrente, specie nel “Viaggio in Oriente”), Caterina dei Medici e i Medici, e all’abbazia di Châalis i cardinali d’Este che ai tempi di Caterina se ne fecero sede.
Tutto vero, volendolo – Nerval è scrittore per critici, uno dei pochi che (ancora) li infiammano. Il racconto è di un viaggio, forse sognato o immaginato nei luoghi e all’epoca dell’infanzia, col primo amore, la prima passione, le passeggiate nel bosco, le feste, i balli, la vita semplice e l’ombra incombente di Parigi. Costruito per frammenti, tra flashback e anticipazioni.  La memoria si sgrana a cannocchiale: una scena rinvia a un’altra, una generazione a un’altra, e questa a un’altra, un secolo a un altro, un amore a altri amori. Oppure l’obiettivo si allarga. Una festa paesana diventa un ballo principesco, la bellezza al ballo si divinizza, il sentiero nel bosco rivela un’abbazia, l’abbazia richiama la storia, un nome è una battaglia, una sedimentazione religiosa, un altro secolo.
Gérard de Nerval, Sylvie, Imagenaria, pp. 64 € 3

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