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venerdì 5 febbraio 2016

Giallo sotto vuoto

Ottocento pagine di bianchi e paraculate, 870 in originale, quando ne bastavano ottanta. Disgraziatamente con  l’avallo dell’Accademia francese, di Fumaroli e di Pivot. Una parodia involontaria dell’industria del best-seller, della scrittura delle scuole di scrittura.
Una storia d’amore contro l’amore. E un omaggio ai “maestri”, delle scuole di scrittura. Una storia d’amore-possessione, di una ninfetta. Più “Twin Peaks” che “Lolita”. Con una serie di baggianate riflessive tra scrivere e amare. Senza personaggi “reali”, in un’America di cartapesta – tipo la Boston di Scerbanenco. Accompagnata dalla fabbricazione del best-seller, criticamente compiaciuta. Anche se piena di errori. Nel New Hampshire l’età minima per il matrimonio non è 18 anni la 13 per le donne e 14 per l’uomo. La pena di morte vi è sospesa  (moratoria a tempo indefinito) dal 1976. I tramonti vi sono come le albe a Ostia, un po’ piatti. E vogliamo mettere un Procuratore anni Duemila che non persegue un Potente - quando invece è il contrario che fa e vuole fare?
Un polpettone: sentimentale, sordido, sadomaso, provinciale, postindustriale. Esemplare in un certo senso, del nulla sotto vuoto delle scuole di scrittura. Pieno di baci Perugina – la creazione più grande è “costruire l’amore”. Con una dozzina di punti di vista, giusto per épater le bourgeois, minorizzarlo. Altrimenti farebbe uno sceneggiato italiano, tipo “Don Matteo”, per agevolare l’addormentamento. Ma così lungo? Il comma 26 del manuale dello scrittore è che “scrivere un libro è come amare qualcuno: può diventare molto doloroso”. E leggerlo?

Però è vero. Nola non è diventata la nuova Lolita, però è vero che Dicker ha incassato in un colpo quanto Nabokov prolifico non ha incassato in una vita.
Joël Dicker, La verità sull’affare Harry Quebert, Bompiani, pp. 775 € 14

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