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venerdì 22 aprile 2016

Il giallo del niente - postmoderno

Il prototipo – il capolavoro? – del citazionismo, del post-modern. Scritto, anzi programmato, con questo taglio – Eco si vuole uno scrittore di scritture, le sue storie sono scritture – e chissà recepito. Lo stesso Panza ne presenta la riedizione in edicola come la summa del Postmoderno, cioè del tutto e niente. In sé è un romanzo storico, confezionato come un thriller. Ma è vero che c’è tutto Eco, siamo nel 1980. È già come una sintesi, di una lunga elaborazione, sistematica se non perfetta. “Nulla vi è di più meraviglioso dell’elenco, strumento di mirabili ipotiposi”. “Ma c’è una magia che è opera divina, là dove la scienza di Dio si manifesta attraverso la scienza dell’uomo”. Col riso – il ridicolo – anche nel sacro. San Lorenzo sulla graticola che, secondo Prudenzio, invita i carnefici a girarlo dall’altra parte. E anche secondo sant’Ambrogio, che aggiunge un invito cannibalesco: “Manduca, jam coctum est”. O in Geremia, dove Dio dice a Gerusalemme: “Nudavi femora contra faciem tuam”, ti ho mostrato le chiappe. Mentre i cluniacensi accusano i cistercensi, delitto supremo, di non portare brache. Lo scherzo insomma, che un tempo si diceva goliardico. La “Postilla”, celebrerà “il pensiero compositivo che pensa anche attraverso il ritmo delle dita che battono su tasti delle macchine”.
Eco si diverte? No, è Eco. La “Postilla”, uscita su “Alfabeta” n. 49, del giugno 1983, fa aggio su qualsiasi altra esposizione: Eco vi spiega cosa ha detto e cosa ha voluto dire. Ma è anche propositiva o progettuale. Eco si ascrive al post-moderno, che trova già caratteristicamente (sempre primo, battistrada, scopritore, lettore segugio) in John Barth, “La letteratura dell’esaurimento”, 1967 – lo stesso Barth, aggiunge, che ha ripreso il tema nel 1980, ma sotto il titolo “La letteratura della pienezza”. Una postilla che fa molto il romanzo del romanzo, a difetto di volere o sapere narrare, godendo della narrazione.
Il progetto è il complotto. Che c’è già qui, ma non teorizzato, nemmeno invadente. C’è già l’ossessione del segreto - la voglia di segreto - coniugata all’orgoglio di saperne la verità. La verità, ossia il “segreto vuoto” delle tante interviste che accompagneranno “Il pendolo di Foucault”. Con un protagonista, Guglielmo di Baskerville, a metà tra Guglielmo di Ockam e Sherlock Holmes. Per un’esigenza “democratica”, di fronte alla stessa conoscenza – e più, certo, alla politica: qui è della politica della conoscenza che è questione.
La politica della conoscenza è alla base dell’invadenza del segreto, del complotto. Ma Eco invece la viveva come un anticorpo a quella che nella conversazione con Le Goff per “Il pendolo”, raccolta da Jacques Anquetil (“Le Nouvel Observateur” dell’8-14 febbraio1990), chiama la “gnosi eterna” e definisce come “l’esigenza, il bisogno che si dà l’umanità di trovare dei superuomini che non hanno il destino degli altri e sono ritenuti possedere segreti iniziatici”.
Il titolo riprende il “nulla rosa est” di Abelardo. Che si può parafrasare anche: del parlare sul niente, sul vuoto – di ciò che non esiste, o non significa.
Umberto Eco, Il nome della rosa, Corriere della sera, pp. 618 € 9,90

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