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lunedì 18 aprile 2016

Il complotto del computer – o la brutta copia del “Codice da Vinci”

Settecento illeggibili pagine, contro il vizio del complottismo. Nella sua vena più eletta,  il decostruzionismo, filosofico, letterario – “Ora avevamo l’intera modernità percorsa da talpe laboriose che traforavano il sottosuolo spiando il pianeta dal di sotto”. Un campionario delle castronerie. Contro l’esoterismo – dopo l’appeal creato da Borges. Contro la credulità e l’incredulità, e per la superficialità – se ne legge con più gusto in Savinio. Contro il numero sette – e l’otto e il nove (ma non contro il tre? e il quattro?)
Tutto lo sciocchezzaio nazista e paranazista, Otto Rahn, von Eschembach, l’Ultima Thule. Ma anche Lilith, “la grande madre ermafrodita”. Le “vergini nere de Celti” – “le prime vergini che appaiono in Europa sono le vergini nere dei celti”. Il governo dei tecnici, che molto patrocinavano all’epoca lo stesso “Espresso” e “la Repubblica di Eco? Sinarchie, come quelle che si delibavano nel tardo Medio Evo, per esempio da “tali Vivian Postel du Mas e Jeanne Canudo”, che fondano a questo fine “il gruppo Polaris”.
Eco era veramente arrabbiato. Finisce perfino per assimilare la polemica antigesuita, della “controffensiva baconiana… liberale, laicista”, all’antisemitismo, “da Michelet e Quinet sino a Garibaldi e Gioberti”. E a Eugène Sue, “L’ebreo errante”, “un testo che sembrava ricalcato, ma con anticipo di mezzo secolo, sui Protocolli (dei Savi di Sion)”, la summa e il cardine del complotto antiebraico. .
Stroncato all’uscita, anche con violenza, un po’ ovunque fuori d’Italia, in Francia, Gran Bretagna, Usa. In Italia no, due anni prima, 1988, era stato un delirio – ma Pietro Citati su “Repubblica”, il giornale di Scalfari e dello stesso Eco, riuscì a scrivere di “superficialità totale” , e a chiedersi “se valeva la pena di  scrivere questo libro” (Scalfari poi recuperò con Asor Rosa canterino). Fu stroncato anche da amici personali. Salman Rushdie scrisse sul “Times” di un “obeso nuovo volume di Umberto Eco”, che “non un romanzo, è un computer game”, e anzi scandaloso: “Se, come Anthony Burgess minaccia in copertina, questa è la strada per cui il romanzo europeo sta andando, dovremo tutti prendere un bus nela direzione opposta al più presto”. Diminutivo lo stesso Burgess, sul “New York Times”: “Una notevole raccolta d’informazioni”, avrebbe beneficiato di “un indice delle materie trattate e delle  citazioni”. La “New York Review of Books” disgnosticò un caso di logorrea – “lo scherzo migliore non si ripete per 665 pagine”, quante erano quelle dell’edizione americana.
Il romanzo del computer colpì molti. Pascal Guignard: “L’eruditissimo romanziere italiano ha sovraccaricato la memoria del suo computer. E se avesse fatto un errore di programmazione?” In effetti, il volumone è illeggibile. Non trascina: non va in discesa, va in salita. O se letto in pillole, poche pagine al giorno, per distendere i nervi, non memorizzabile. Anticipa però molti successi altrettanto formidabili. Uno, “Il codice da Vinci”, è l’esatta copia, ristretta e velocizzata, del “Pendolo” di Eco, dal Louvre iniziale (qui il Conservatorio delle Arti e Mestieri ) a Saint-Sulpice, il Graal, la Scozia, etc., e i paladini di penna, gli intellettuali come protagonisti e quasi eroi
Del “Pendolo” Eco non fece la raccolta e il commento dell’accoglienza, come del “Nome della rosa”. Ma in una conversazione con Jacques Le Goff, moderata da Jacquaes Anquetil, che il “Nouvel Observateur” organizzò per attutire la recensione di Guignard, Eco spiega: “È un romanzo contemporaneo sulla paranoia dell’interpretazione”. Sugli eccessi dell’ermeneutica, e in specie della decostruzione. Fa della “lettura”, o interpretazione, il problema centrale della sua ricerca scientifica: “La questione dell’interpretazione infinita è un problema centrale per me”. dirà alla fine. Ma ha premesso: “L’interpretazione paranoica della storia è una malattia molto contemporanea”. Una sorta di nevrosi che, propone a Le Goff, “si potrebbe chiamare «gnosi eterna», e cioè l’esigenza, il bisogno che si dà l’umanità di trovarsi dei superuomini che non hanno il destino degli altri e che si ritiene posseggano segreti iniziatici”.
Lo stesso Le Goff sull’“Espresso” si era detto due anni prima, all’uscita del romanzo, entusiasta. In una lunghissima recensione lo aveva avvicinato a Shakespeare, Gide e altri nomi che gli venivano alla penna: “Una scelta vertiginosa di delizie… Un gioco straordinario dello spazio e del tempo… Esco dala lettura così felice e sconvolto che non riesco a controllare le mie emozioni…”. Il romanzo qui e là definendo “magico… misterioso… tumultuoso… luminoso”.
Il settimanale di Eco aveva organizzato il lancio del romanzo con un insieme di servizi per una ventina di pagine – tra essi un servizio fotografico molto suggestivo sui luoghi parigini del romanzo. In una lunga intervista con Ferdinando Adornato, che meriterebbe riprendere, Eco da i due cardini della sua posizione critica: “Tutta la conoscenza si basa sull’esercizio del sospetto. Sospettare è giusto. Bisogna però distinguere tra un sospetto «sano» e uno «malato»”. E questo è quello che si propone di denunciare: “C’è una malattia che si è impossessata della cultura e della politica della nostra epoca. Per questo ho scritto «Il pendolo»: per denunciarla. È una «malattia dell’interpretazione» che ha influenzato tutto, la teologia, la politica, la vita psicologica. Il suo nome è Sindrome del Sospetto. Il suo strumento è la dietrologia”.  
Un diluvio. Un’alluvione nel campo specifico della filosofia: “C’è nel pensiero moderno una pratica critica che riproduce la situazione paranoica della Sindrome del Sospetto. È quello che viene chiamato il «decostruzionismo». È una degenerazione della semiologia, così come la dietrologia è una degenerazione della politica”. Molto promozionale, ma sapendo bene di giocare con se stesso: “La gente che fa il mio mestiere rischia ogni giorno di morire per eccesso di sperimentazione, per eccesso di intelligenza. Questo succede quando si entra nei «vortici» dei propri fantasmi intellettuali”.
Un testo (romanzo?) “molto influenzato”, disse lo stesso Eco, da “un saggio di Karl Popper sulla nevrosi del complotto, il complotto cosmico”. In “Congetture e confutazioni”, 1963, ma già nodo centrale della “Società aperta e i suoi nemici” vent’anni prima. A Popper Eco si rifarà nel suo ultimo intervento pubblico, alla “Milanesiana” a fine giugno.  
Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, Corriere della sera, pp. 704 € 9,90

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