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sabato 23 aprile 2016

L’amore libero, nel Duecento

Un “segretario galante” precoce, 1190-1195, per la corrispondenza e per il colloquio ravvicinato, con tutti i trucchi della seduzione, da parte di lui e da parte di lei, benché in forbito latino – ma sulle tracce di Ovidio. Per il “prima” e per il “dopo”. E un manuale dell’amore libero. Che Venere stessa da ultimo, con fraseologia dai “Salmi” e altre parti della Bibbia e dai Vangeli, decreta aperto a tutte, le monache non escluse: “Le signore provvedendo da sole, le monache e le vedove con il pretesto della religione, le sposate con l’aiuto delle signore, delle madri e delle ancelle, le fanciulle con l’aiuto di tutte quelle elencate”, al fine di “divertirsi in tutti i modi”. Condannando “i Sardi e tutti i gelosi” – i Sardi Boncompagno ripetutamente in varie opere dice in fama di gelosi. Inframezzato da forbite discussioni di arte della retorica, Boncompagno la insegnava a Padova: sulla metafora, il canone, l’indizio, il segno.
L’unico problema è la metafora: l’uso della metafora è facile ma anche rischioso – può avere effetti contrari, sia per “prima” che per il “dopo”. Ma non se ne può fare a meno: la metafora è necessaria agli amanti perché l’amore è inconoscibile perfino a chi lo prova. Sembra di leggere l’incipit di “Amoris laetitia”, l’esortazione apostolica del papa l’altro mese.

Un libretto che fu molto diffuso, benché in latino, e anche tradotto, in franco-provenzale. Prodromo del primo Boccaccio e perfino, pare, della “Celestina” tre secoli dopo. Nel fosco Medio Evo il letterato si divertiva, non era triste e acrimonioso. Anche tra il clero, che allora dominava le università: la sessuofobia doveva ancora venire – stava per. Liberandosene, il papa Francesco in fondo non fa che recuperare una tradizione.
Boncompagno da Signa, Rota Veneris, Salerno, remainders, pp. 101 € 3

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