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sabato 20 maggio 2017

A che punto è l’America

Singolare e affascinante è l’avvitamento dell’“America” contro Trump. Dell’America che conta cioè: media, affari, gruppi di comando politici. Roba da Svetonio, da Plutarco, gli autori delle vite “contemporanee” dell’impero romano.
Il desiderio di sbarazzarsi di Trump è stato istantaneo e generalizzato subito all’elezione. Per tutti i due mesi prima del passaggio dei poteri. E dopo un periodo brevissimo, non più di una diecina di giorni, dall’accesso – esaurite cioè le nomine. Ma prima che Trump avesse cominciato a  governare effettivamente.
La critica delle istituzioni è libertà. Indubbiamente. Ma l’unanimità è sospetta: non è democratica. I tempi sono anche curiosi. Democrazia è accettare il voto delle elezioni.
Contro le elezioni si sono avuti esempi di rifiuto, anche in campo occidentale, anche in Italia - basti pensare a Scalfaro. Ma sono golpe, seppure incruenti, e perfino istituzionali. Non si chiudono le Camere appena elette. Non si manda un presidente appena eletto sotto processo.
Si è criticato Trump prima del voto, e dopo, prima dell’insediamento, per i suoi propositi. Per i suoi modi. Per la ricchezza, che potrebbe essere sospetta. Ma allora tanto più Trump si penserebbe da accettare se è stato eletto contro questi handicap.
L’opinione pubblica è invece singolarmente acritica, e anzi elogiativa, con Obama. Un presidente  poco concludente sul piano interno e catastrofico nei rapporti esterni. Con la Cina. Col radicalismo arabo. Con l’Europa. Il presidente che ha esumato la guerra fredda.  
Trump vittima della sua xenofobia? Le sue misura anti-immigrazione sono state cassate, ma l’America respira perché da alcuni mesi non ha più flussi di nuovi immigrati.
La Russia. È difficile capire che gli hacker russi abbiano potuto determinare l’esito delle presidenziali, e nessuno lo spiega, delle tante polizie che dicono di occuparsene. È difficile anche concepire una squadra di hacker russi comandati da Putin: il web non si presta a una cavalcata, sia pure senza mezzi cingolati e artiglierie pesanti.  
Gli affari di Trump con Putin personalmente. Ma non si fa nulla per venirne a capo: un indirizzo, una sigla, uno specifico affare.
Tutta roba da servizi segreti: insinuare, diffondere voci e ipotesi. Ogni giorno una che superi (“ammazzi” nel gergo giornalistico angloamericano, la faccia dimenticare) la precedente. Ma diffusa dai maggiori media. Nel nome della difesa della libertà.
L’Italia ha vissuto questa stagione, da piazza Fontana in poi, dell’informazione dominata dalle “veline”. Una permeabilità attribuita alla debolezza della democrazia in Italia. Ma negli Usa?
Si intercetta anche liberamente Trump, che pure è il presidente degli Stati Uniti. E si diffonde attraverso giornali prescelti tutto ciò che ha detto. Non propriamente ciò che ha detto e non al dettaglio: si diffonde l’intercettazione con gli schemi del montaggio, per il maggiore effetto.
Si fa grande caso del giornalismo investigativo. Ma su Trump non si indaga, che pure dovrebbe essere facile. E poi nello stesso suo habitat naturale, gli Usa, il giornalismo investigativo è, nove casi su dieci, di parte, anonima. Di interessi concorrenti, e di servizi segreti e polizie.
Tutto ciò fa parte della democrazia e ne è anzi il meccanismo principale? La democrazia sarebbe allora infetta – dalla polis, che Canfora ha smascherato, in poi. E la politica hobbesiana, l’opinione  pubblica hobbesiana, la democrazia un residuo. O un’esca e un tranello.

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