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lunedì 14 dicembre 2020

I diritti delle donne alla ghigliottina

Della serie “non è vero che le donne non conta(va)no”. Anche se Olympe, i cui progetti, manifesti e appelli reggono a oltre due secoli di distanza, la rivoluzione mandò alla ghigliottina: non fu per antifemminismo, fu per bestialità – allo stesso modo, anche se non cruento, come la Repubblica di Mitterrand ha rigettato nel 1989 la richiesta di ammetterla al Pantheon.
Il femminismo di due secoli dopo, nelle sue diverse articolazioni e nelle sue poche certezze, è in questa dichiarazione-decreto in pochi articoli. Assortita da una lettera alla regina Maria Antonietta che avrebbe dovuto vararla. Quasi un miracolo – forse per questo trascurato dal femminismo stesso, oltre a essere stato a lungo ignorato, fino a metà Ottocento. La storia può essere cieca.
Olympe è un personaggio perfino romanzesco. Di nome Marie Gouze, nata nel 1748 a Montauban, da famiglia modesta, di lingua e cultura occitane: macellaio il padre legale, padre carnale un marchese, Jean-Jacques Lefranc de Pompignan, poeta mediocre, vittima prediletta di Voltaire. Fu sposata a  sedici anni, a un ufficiale dell’Intendenza che la lasciò presto vedova con un figlio.
La vedovanza la liberò. Si trasferì a Parigi, si accompagnò a un altro nobilastro, Jacques Biétrix de Rozières, funzionario al ministero della Guerra, tenne salotto nella sua abitazione, rue Servandoni, con un piccolo teatro di società, dove rappresentò le sue prime scritture, drammatiche. Ma la passione politica ebbe preminente.
Olympe partecipa alle attività della Société des Amis des Noirs, e scrive e affigge appelli contro la schiavitù. Anticipa la Rivoluzione: nel 1788, pubblicando nell’autorevole “Journal général de France” una “Lettre au peuple” per la costituzione di una “cassa patriottica” a sostegno delle finanze pubbliche. La “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” scrive a settembre del 1791 a ricalco della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” di due anni prima - ribaltando il Cittadino di Diderot nell’“Enciclopedia”, che deve essere maschio: “Il termine non si applica alle donne, ai bambini, ai servi, se non come membri della famiglia del cittadino propriamente detto”. La diffonde, come tutti i suoi scritti e appelli, in manifestini attaccati ai muri o a stampa in brossure modeste.
La “Dichiarazione” non suscita grande echi. Ma bastanti per mandarla alla ghigliottina due anni dopo, il 3 novembre 1793, a pochi mesi dall’avvio del Terrore – seguita dopo pochi giorni da Mme Roland, analista coraggiosa della Rivoluzione, delle sue impasses: l’attivismo delle due donne la stampa giacobina denunciava da tempo come “contro natura”. Questa la motivazione della condanna di Olympe: “Olympe de Gouges, nata con un’immaginazione esaltata, ha scambiato il suo delirio per un’ispirazione della natura: ha voluto essere un Uomo di Stato. Ieri la legge ha punito questa cospiratrice per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso”.
La fine non fece scandalo, Olympe era una rivoluzionaria senza paraocchi, non popolare. Patriota e realista insieme, per il re e per Necker, come per Mirabeau e Dumouriez. La “Dichiarazione” invia a Maria Antonietta, ed è di due mesi dopo la tentata fuga dei reali.
Olympe non sapeva scrivere. Ma, grazie alla pratica diffusa della lettura ad alta voce, conosceva ciò di cui si parlava, fossero classici o libelli politici e rivoluzionari, e sapeva argomentare. Firmò 29 romanzi e racconti vari, 71 pièce teatrali, 70 fra libelli e articoli rivoluzionari.
Olympe de Gouges, La musa barbara. Scritti politici, Medusa, pp. 144 € 17,50
“Femme. Réveille-toi!”. Déclaration des droits de la femme e du citoyen et autre écrits
, Folio, pp. 99 € 2

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