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venerdì 21 gennaio 2022

Dante millenarista, con juicio

Due mondi diversi, a un secolo di distanza. Gioacchino, benché cistercense e abate, nato probabilmente da famiglia contadina, servo della gleba, in un remoto villaggio pedemontano, portinaio del convento cistercense di Sambucina, poi girovago per varie altre abbazie, prima di fondare il suo proprio ordine, Florense, Dante ipercolto, uno degli ottimati della signorile e democratica Firenze, banchiera d’Europa.
“Una importante componente del misticismo di Gioacchino è greco-orientale, per la cui formazione avevano concorso testi biblici e paleocristiani. Presto corretti dai Normanni in senso latino, nonché dal monachesimo, “dai temi lavoristici dell’ordine benedettino e di quello cistercense”. Il francescanesimo aveva riproposto il misticismo anche in mondi remoti da quello greco-ortodosso, ma presto si era fatto confuso.
Una distanza doppia: “Gioacchino era ancora il Medioevo che tramandava arcaici, orientali, immobili miti in una Calabria lontana “dalla rinascenza”, mentre “in Toscana la rinascenza verdeggiava”.
Distanti anche le concezioni. “Per Gioacchino, monaco di Calabria e nutrito di libri sacri testamentari e profetici, occidentali e orientali, c’è un mondo mistico da preparare, il mondo del contemplante e del santo”. Questo è vero anche per Dante. “Ma in Gioacchino non c’è la filosofia della storia umana che c’è in Dante”.
Fatte le distanze, resta che Dante è onnivoro. Fagocita tutto, e non è sordo “al richiamo delle voci profetiche”. Più che un rapporto da maestro a discepolo, un mondo, per quanto remoto, cui Dante non rinuncia.
Il saggio è soprattutto interessante per la ricostruzione del mondo giaochimita, fisico e culturale.
Antonio Piromalli, Gioacchino da Fiore e Dante, Rubbettino, pp. 73 € 4,56

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