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venerdì 4 marzo 2022

Amica psicoanalisi, nemica dell'artista

Saba fu attirato presto dalla psicoanalisi - maturandone poi una dipendenza, a giudizio di Debenedetti, suo profuso critico e personale amico e quasi confessore. Ossessionato dal matricidio oresteo del mito, lui figlio di madre singola, legata alla severa legge ebraica, da cui il padre naturale si era allontanato già prima della nascita di “Berto”. Rossi, già ordinario di psichiatria e Genova e psicoanalista accreditato in città, già autore di un “Umberto Saba: Oreste ed Edipo”, ne rivede rapidamente l’anamnesi, alla luce di due tarde lettere, del marzo 1949.
Nella prima, indirizzata a Joachim Flescher, non inclusa nel volume del 1991, “Lettere sulla psicoanalisi. Carteggio con Joachim Flescher. 1946-1949”, fa la difesa del suo analista, Edoardo Weiss. Prosegue con una celebrazione di Freud, riscattatore della stirpe ebraica, dopo “il peccato originale-Gesù”, e scopritore del nodo di tutte le nevrosi, la religione. Ma a prezzo, forse, di troppo razionalismo. Il dubbio sorge a Saba in rapport alla propria creatività, di poeta, di artista: a Flescher scrive per domandare se un artista guarito “potrà ancora fare dell’arte”. È in questa ambivalenza, terapia e timore della “guarigione”, che Debenedetti parlava della passione psicoanalitica dell’amico come di una dipendenza.
La seconda lettera, indirizzata a Weiss, a distanza di sedici anni dalla fine del rapporto terapeutico, esordisce con un “le ho voluto e le voglio sempre bene”. Come a “persona affascinante che (per me) ha fatto più di ogni altra persona al mondo”. Lo attacca: “Durante la mia analisi furono commessi degli errori”. E poi lo santifica, “fino a giungere”, nota Rossi, “ad una ammissione di dipendenza ancora totale”. Facendolo depositario dell’ultima delle sue opere, “Scorciatoie e raccontini”  (1946): “Scorciatoie sono quasi tutte sue” – aggiungendo “alla riga successiva”, nota Rossi, un ambivalente: “Detto tra parentesi, Scorciatoie  non ha avuto nessun successo”.
In realtà, la dipendenza è tarda in Saba. L’analisi avviò nel 1928, e prolungò per cinque anni, fra i 45 e i 50 anni quindi. Ma ne era affascinato prima e non se ne liberò dopo. A Weiss era – e rimarrà – dedicato già il seminale “Il piccolo Berto”, nel 1931, con l’emersione della dissonanza-ambivalenza paterna-materna.
Romolo Rossi, B. Masnata, Umberto Saba: un poeta contro la depressione, “Journal of Psychipathology”, 3/2004, online

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